domenica 2 novembre 2008

E Paperopolis



Stavo facendo il mio mattutino giretto al bar, alla ricerca di storielle da raccontare, quando mi sono caduti gli occhi (e sono occhi che ci vedono benissimo, come si conviene a una gatta) sulla prima pagina di un quotidianello (poiché io non dirò mai di quale città si tratti, lo chiamerò Il Questacittà, anche perché facente parte di una catena di "testate cittadine" che, nel titolo, regolarmente usa il nome della città preceduta dall'articolo "il") che riportava una notiziuola con ampio risalto. Come si fa, oggi, a catturare l'attenzione del lettore? Esistono alcune parole-chiave di sicuro effetto: esasperazione, incubo, degrado, polveriera...insomma, tutto un ammennicolo di idiozie per le quali, un giorno o l'altro, bisognerebbe un giorno o l'altro chiedere civilmente conto agli autori e ai mandanti (i cui scopi sono ovviamente chiarissimi).

Secondo questo articolo, nel Quartiere 3 di questa città i cittadini sarebbero oramai pronti ad insorgere (o qualcosa del genere, ma la sostanza è quella) a causa delle "scritte sui muri" che imbrattano le facciate degli stabili, particolarmente quelle prospicienti un certo centro sociale chiamato CPA che viene ovviamente tirato subito in ballo come autore. Vengono intervistati i consueti tizi che non hanno alcun dubbio al riguardo, magari ignorando, del tutto come si specifica a chiare lettere nel pronto articolo di risposta del sito del centro sociale, che il CPA non fa più scritte sui muri a partire dal 1993, e che anzi, da un bel po' di tempo, sta facendo di tutto per non incorrere in cattivi rapporti con il vicinato, e che mostra verso la popolazione e verso il quartiere un rispetto ben maggiore di quanto non ne pratichino certi pennaioli che si divertono in ogni modo, loro sì, ad esasperare gli animi per far vendere una copia o un po' di pubblicità in più, pubblicando notizie prive di fondamento reale ma con il preciso intento di contribuire alla santa causa dell'eliminazione di ogni forma di opposizione reale.

Dite che sono esagerata? Ma no, carissimi miei amici di pelo e ignudi. Non sono esagerata, perché girando e girando per questa città mi sono accorta di quanti e quanti muri siano letteralmente imbrattati e inzuppati di scritte, scrittine, croci celtiche eccetera, opera di un certo gruppo politico "giovanile" di destra, nei confronti del quale non ho mai visto tirare in ballo incubi, esasperazioni, polveriere eccetera, e neppure tante geremìadi di bravi cittadini "che devono rifare la facciata". Eppure chiunque percorra almeno un po' le vie di questa città, ne avrà viste a bizzeffe! Ce ne sono nei posti più impensati, spesso assieme a sfilate di manifesti che annunciano questa o quella "iniziativa" del "centro sociale di destra" (sic). Affissioni in dispregio a qualsiasi ordinanza comunale e, mi di permetta di dire, a qualsiasi regola di civiltà e di educazione che poi questi bellimbusti vorrebbero imporre agli altri; ma è del resto arcinoto che questi signori sono dei fan della legalità soltanto quando non li tocca; altrimenti non avrebbero il caporione nazionale che hanno.

Se l'autore (che poi è un autrice) dell'articolo de Il Questacittà volesse fare anch'ella qualche giretto senza sbattere in prima pagina chi non ha fatto niente, e concentrandosi invece su chi i propri imbrattamenti li firma senza possibilità di equivoco, farebbe senz'altro meglio. Ancor meglio farebbe se, visto il livello oramai da Papersera che il suo quotidiano "indipendente" ostenta nei bar e dovunque sia in libera distribuzione, a proporre alla direzione generale di cambiare la denominazione della catena da E Polis in E Paperopolis. Magari, chissà, forse assumerebbero finalmente anche il mio amico, il gatto Malachia. Miao!


venerdì 17 ottobre 2008

Nuestra Señora de la Tranvía





Andando in giro per questa città, mi par d'avere colto delle voci, ai tavolini dove qualche anziano resiste ancora a stratracannare, a stramaledir le donne, il tempo ed il governo, sull'esistenza, in un tempo che fu, del tram e del filobus. Incuriosita da quelle strane parole, mi sono acquattata sotto un tavolino (sperando anche che mi cascasse qualche pezzetto d'un panino, cosa che puntualmente non è avvenuta) e mi sono messa ad ascoltare.

Ebbene, sì: una volta, questa città era piena di rotaje che di fili aerei che penetravano fin nelle parti più monumentali del centro storico. Dovevano essere epoche di scarso o scarsissimo traffico veicolare privato; ad ogni modo, si trattava di mezzi economici e puliti, anche se allora, con tutta probabilità, parole come inquinamento, ambiente e quant'altro le si doveva trovare soltanto nelle parole crociate. In questa città, come tutti sanno, tutto è regolato dall'estetica; ogni cosa deve rispondere a certi canoni in modo da non deturpare la visione dei cittadini che, normalmente, se ne stracatafottono dei capolavori davanti ai quali passano davanti ogni giorno, ignorando persino chi li abbia costruiti o fatti costruire (ma beandosi regolarmente di essere nati o abitare nella culla del Rinascimento o altre cose del genere). Viceversa, le orde di turisti che la percorrono in ogni stagione, debbono starsene col naso all'aria a sentire le spiegazioni in tutte le lingue delle guide, facendo finta di essere interessati, scattando fotografie, acquistando souvenìglia, pizzàglia a taglio, scarpàglia, vestitàglia e altra paccottìglia che, in verità, ha degradàto il centro di questa città ben prima che arrivassero i venditori di collanine e di elefantini da certi paesi che è inutile nominare; e anche, va detto, pisciando sui monumenti in quantità ben più copiose di certi somali che furono così duramente redarguiti da una signora d'antico lignaggio che visse a Manhattan.

In nome dell'estetica, quindi, un bel dì gli amministratori di questa città -che ancora non erano sceriffi, va detto-, decisero che le rotaje del tram andassero sbarbate, e che il fili del filobus dovessero essere sfilati. Certo che formavano un bell'intrico; furono sostituiti da esteticissimi autobus a gasolio, che presero ad ammorbare l'aria facendo peraltro assumere alla famosa Cattedrale un colorito tra il verdognolo e il nerastro. Nel frattempo, il traffico veicolare privato aumentava, aumentava, aumentava: automobili, motorini, di tutto. Fu istituita la Zona a Traffico Limitato, ogni sorta di divieto (di transito e di sosta), i varchi, il telepass, con il risultato che, per magìa, le zone limitrofe al centro si videro ancor più congestionate, e il centro si ritrovò inspiegabilmente ancor più intasato di macchine. O com'è?

Qualche anno fa, approfittando di alcuni contributi & fondi statali e “europei”, l'amministrazione di turno decise ch'era ora di tornare all'antico pur nel moderno. Si fa la Tranvìa! Eh? La Tranvìa? O non era antiestetica? E le rotaje? E tutto il resto? Nulla da fare. S'ignorarono del tutto le proposte di chi desiderava una classica metropolitana, con vari pretesti (tra cui quelli “archeologici”; ma se i reperti rimangono sotto terra, a noi cosa ce ne importa?), e non tenendo conto che, all'estero, le metropolitane esistono in città ben più piccole di questa; e giù con la tranvìa in superficie. Ho detto alcuni anni fa. I lavori per la prima linea sono ancora in corso, e non se ne vede la fine. Lavori che sembrano essere proceduti senza uno schema logico, a macchia di leopardo; ci sono dei tratti che paiono già finiti, mentre a 200 metri di distanza si stanno ancora facendo i primi scavi. Lavori che hanno trasformato certe zone di questa città in perenni ingorghi, vialoni larghissimi in anguste mulattiere, attraversamenti pedonali in passaggi dalla pericolosità simile a quella delle passerelle sospese sul Gran Canyon, nei film di Indiana Jones. Ma sopportiamo con pazienza, nonostante un referendum organizzato da alcuni buontemponi improvvisatisi paladini dell'ambiente e degli alberi, nonostante i disagi, nonostante tutto quanto. Anche perché sono previste altre due linee. Vi passeranno dei veri e propri treni, altro che “tram”, e tutto sarà finalmente risolto. Nel senso che alcuni cittadini si serviranno del tram come ora si servono degli autobus, mentre la maggioranza continuerà a utilizzare l'automobile, il motorino o la moto come ha sempre fatto.

Come comportarsi, nell'attesa che i lavori finiscano? La risposta ci è data, finalmente, dalle due foto gattigitali che mi sono pregiata di aver scattato nel pomeriggio di oggi, 17 ottobre 2008, ad un incrocio particolarmente trafficato in prossimità del cantiere per la Tranvìa, e proprio mentre Sturmtruppen di vigili urbani e di carrattrezzi stavano rimuovendo le automobili parcheggiate incautamente nelle viuzze adiacenti, per un lavaggio strade diurno. Ovviamente, in questa città, il lavaggio strade mica si fa di notte: lo si fa tra le due e le tre del pomeriggio!

Insomma, dobbiamo dire, non resta che affidarci alla Madonna. E, infatti, è ciò che ci invitano a fare con la statua di Santa Maria Vergine sistemata su un'aiuola prospiciente al cantiere (aiuola, naturalmente, lordata d'ogni specie di siringa, cartaccia, sterro effettuato 5 anni fa e mai ricoperto, preservativo, reperto biologico, code di archaeopteryx, eccetera). Ammirate l'atteggiamento orante e divoto della Madonna, che guarda con aria misericordiosa il cantiere dall'eternità del tutto simile a quella de' cieli, elevando a gloria del Signore un càntico di speranza: Magnificat anima mea Tranviam, et exultabit binarium meum. Ad essa possono rivolgersi i cittadini che passano, su un veicolo o a piedi, trattenendosi così dall'elevare al Signore espressioni assai più colorite e blasfeme, seppur pienamente giustificate. Ella protegge il pedone che deve attraversare la strada, conscio di rischiare la vita ad ogni passo; si affida a Lei che, nella sua infinita grazia, gli permetterà di arrivare dall'altra parte senza essere stato travolto contemporaneamente da 812 automobili, 128 motorini, 48 camion e un Gasolone, e indi ridotto alla consistenza della confettura Santa Rosa (ori pro nobis pure lei, tanto che c'è). Nel contempo, Nostra Signora della Tranvia cerca di fare quel che può anche per vegliare sulla salute dei lavoratori del cantiere; si sa che è un compito inutile in questo paese dove sul lavoro non muore mai nessuno, però una protezione in più non guasta. Tanto più che la Poveretta, ahimé, nella sua sistemazione attuale sembra quasi più una prigioniera a Guantánamo che una Madonna...

E se, per caso, la Madonna non bastasse, è d'uopo un po' di buonumore. A tale riguardo, come si può vedere nell'altra foto scattata proprio sotto la Madonnina della Tranvia, si evince che il responsabile del cantiere è un noto attore comico. Insomma, per concludere: preghiamo e ridiamo, al resto ci pensano le autorità. Miao!

lunedì 6 ottobre 2008

Sarà anche certificata?...


Questa foto gattigitale è stata da me pirsonalmente di persona, gatta Pampalea, scattata in una data via di questa città, vicino ad un'antica porta. Che dire? Sembra che, come deterrente per gli automobilajuoli indisciplinati funzioni davvero, perché di macchine parcheggiate lì davanti non ce n'erano. Lo spettro della rimozione garantita (e certificata? ISO 9002?) aleggia su leziose e insopportabili Smart verniciate da lattine di Cocacola e con la pubblicità del Pinzauti & Francalanci Hairdressing Style, su possenti SUV dai nomi improbabili (hanno fatto la Sorento, faranno un giorno anche la Pozuoli? O la Tore del Greco?), su furibondi scuteroni dal culo tronfio inforcati da ragionieri e, debbo dirlo, anche sulla misera utilitaria del mio amico umano Sussi che voleva colà parcheggiarla per andare a una vicina birreria!

Ma la cosa potrebbe avere risvolti più inquietanti. E se una volta, accidentalmente o scientemente, un passante varcasse quella porta e si trovasse, in modo garantito, rimossi tutti i suoi ricordi, belli o brutti? La rimozione garantita della propria coscienza, addirittura? Cosa dunque ci sarà, al di là di quella porta? Una specie di Kabinett des Doktors Calegari? Il dottor Mabuse? Sì, lo so che non c'entrano una mazza, sono i primi nomi di dottori pazzi che mi sono venuti a mente...ad ogni modo, comunque la vogliate mettere, il consiglio che vi da la vostra spaventosamente nera Pampalea è il seguente: andate a parcheggiare da un'altra parte!

Pampalea Informa (1)

Sotto il titolo fisso, numerato, di Pampalea Informa saranno raccolti brevi & miagolanti avvisi che su articoli & altra roba reperita in rete, i quali o la quale abbiano attinenza con questo blog.

(1)
Della Palazzina dell'Indiano, con interessantissimi dati & fotografie che illustrano ancor meglio il suo stato di abbandono, si parla anche in questo articolo dal sito del Centro Popolare Autogestito del Sud di questa città. Leggete, ch'è utile & istruttivo!


domenica 5 ottobre 2008

Forestali Metropolitani



Approfittando della domenica d'ottobre relativamente mite (anche se stanotte ha fatto un freddo CANE -madonna, ma che parole mi tocca dire!), ho deciso oggi d'andarmene a fare una bella sgattajolata alla ricerca non soltanto di storie da raccontare, ma anche -why not- d'un paio di bei topi; e quale miglior posto, sia per la sgattajolata che per i topi, d'un bel parco in riva addirittura a due fiumi?

Questi due fiumi avranno una parte consistente in questa storia, almeno da un punto di vista storico. In fondo al parco, infatti, si trova la loro confluenza. Un gentile signore su una panchina (ce ne sono ancora, di signori gentili, anche se c'è da dire che in molti casi sono molto più gentili coi gatti che coi rumeni), indicandomi un bizzarro tempietto con l'effigie di un umano col turbante, mi ha raccontato la storia di quel luogo.

Sembra che moltissimi anni fa, attorno al 1870, un giovane maharajah indiano, tale Rajaram Chuttraputthi, trovandosi in questa città di ritorno dall'Inghilterra (e diretto nel suo paese, un viaggetto che all'epoca non doveva essere affatto breve), fu sorpreso da Sorella Morte in un albergo del centro; aveva, poveraccio, soltanto 21 anni (che per noialtri gatti sarebbe un'età più che ragguardevole, ma che per gli umani appartiene invece alla piena giovinezza). Poiché doveva essere seppellito alla svelta, e la sua religione imponeva che la sua tomba dovesse sorgere alla confluenza di due fiumi, fu individuato questo luogo. Insomma, come dire, proprio non ricordava la confluenza tra il Gange e il Brahmaputra (sì, per tutti i croccantini, lo so che il Gange e il Brahmaputra non fanno confluenza, ma era solo per dire!); però lo sfortunato maharajah dovette contentarsi, e in fondo sai che diavolo gliene fregava visto che era morto stecchito.

Alla presenza del console di Sua Maestà Britannica, (e qui ho un moto di estremo rispetto, visto il ben noto e storico amore che i britannici tutti hanno da sempre nei confronti dei felini domestici), fu approntata una pira e la salma del maharajah fu arsa; sul luogo fu poi eretto un tempietto, con tanto di lapidi in italiano, inglese, hindi e sanscrito, che ricordava l'avvenimento. Un tempietto di uno stile talmente insolito per questa città, che da allora il luogo intero è noto come “L'Indiano”. Piazzale dell'Indiano si chiama lo spazio prospiciente; Ponte dell'Indiano si chiama il viadotto strallato costruito alle sue spalle una ventina d'anni fa, e Palazzina dell'Indiano si chiama la costruzione che vedete raffigurata nella fotografia gattigitale allegata a questo post.

Qui il racconto del gentile signore sulla panchina si è interrotto; anche perché è dovuto andare via, chiamato da due pericolosissimi ragazzini (i suoi nipotini?) che mi avevano adocchiata con fare decisamente sospetto. Curiosa come sono, però, mi sono fermata a guardare la palazzina, completamente chiusa (anzi no: sprangata), con segni di un recente & accurato restauro andato poi alla malora per totale disuso, con l'intonaco oramai scrostato alle pareti, tristi bandiere che sventolano nell'indifferenza e circondata da siepi abbastanza alte e da una recinzione allucchettata. Chiedendo un po' ancora in giro, aiutata dai miei due amici Sussi e Biribissi che mi avevano da poco raggiunta con la macchina sfidando temerari una mezza tonnellata di divieti di accesso, sono riuscita a saperne qualcosina di più.

Dovete sapere, miei lettori sia pelosi che glabri, che quella palazzina di proprietà comunale, edificata non molto tempo dopo il tempietto per usi che purtroppo mi rimangono ignoti, verso il 1987, in stato di completo abbandono se non proprio di avanzata rovina, era stata occupata da alcuni giovanotti che vi avevano messo su un centro sociale. E siccome si trovava all'Indiano, anche quel centro sociale si chiamò “L'Indiano”.

Può darsi però che voialtri lettori non abbiate ben presente che cosa sia, un centro sociale. Un centro sociale, nella comune accezione del termine, resa ancor più comune dal modo in cui generalmente ne parlano i media di questa ed altre città, è un posto dove si riuniscono gli anarchici, i comunisti, i sovversivi, i negri, i finocchi, i terroristi, gli zìngari eccetera eccetera. Un centro sociale è un luogo da far visitare spesso all'Ordine Costituito, un posto i cui pericolosi frequentatori -anche i gatti, eh!- devono essere tenuti sotto controllo e, soprattutto, qualcosa da sgomberare e chiudere con ogni mezzo possibile. A tale riguardo, numerose forze cosiddette politiche fanno spesso della chiusura dei centri sociali un loro “cavallo di battaglia”, novelli Catoni che terminano i loro discorsi non con il classico Delenda Karthago (ché il loro latino si ferma generalmente a "semper ricordare, controventum non pisciare"), bensì con un più rude “bisogna chiudere il centro sociale X”.

Per sgomberare un centro sociale esistono svariati mezzi: in questa città, generalmente, il metodo utilizzato è quello di prendere l'area e l'edificio dove si è impiantato, previa occupazione, il centro sociale, e di destinare il tutto ad usi di superiore interesse. Non importa se, magari per cinquant'anni, tali aree e tali edifici sono stati tenuti in condizioni pietose -anzi, per usare un espressione molto alla moda, di totale degrado-, e senza farne il benché minimo uso quando ancora non vi era stata occupazione alcuna; arriva il centro sociale e, all'improvviso, gli amministratori e le forze politiche scoprono che quel luogo è assolutamente necessario per impiantarvi cose importantissime come il palazzotto “prestigioso”, l'ipermercato (come se di grande distribuzione non ve ne fosse abbastanza), l'edilizia residenziale (con le migliaia di appartamenti sfitti che esistono). Si procede quindi allo sgombero forzato con gran dispiegamento di tutori dell'ordine in armi, compiendo magari diversi arresti con le imputazioni più folkloristiche, e ovviamente con la più grande soddisfazione da parte delle forze democràtiche di ogni orientamento, ben supportate dai loro giornaletti e anche dall'opinione pubblica perfettamente manipolata e atrofizzata, la quale gioisce pecorecciamente senza sapere nemmeno che cosa sia, un centro sociale, e soprattutto senza nemmeno essersi mai premurata di avervi mai messo piede una volta che sia una.

Così accadde anche per il centro sociale dell'Indiano. Non importò assolutamente che vi si tenessero dibattiti, concerti, iniziative di ogni genere; non importò che l'edificio, senza gravare di un soldo sul bilancio comunale, fosse stato un po' riattato e che avesse cominciato a svolgere realmente un servizio per la popolazione, fungendo magari da punto di aggregazione per un discreto numero di giovani che, invece di dedicarsi al nulla e al sottovuoto spinto che piace tanto al potere, si dedicavano a forme di partecipazione e di critica radicale. Nulla da fare. Un giorno di fine millennio arrivò l'ordinanza definitiva e la palazzina fu sgomberata a forza. Al suo posto doveva sorgere un decisivo punto di riqualificazione del parco fluviale: la sede, nientemeno, che del Posto Fisso del Corpo Forestale dello Stato, con il suo Reparto a Cavallo e addirittura l'Aula Didattica Ambientale! Pare che la proposta di assegnazione della Palazzina al Corpo Forestale fosse stata caldeggiata da un partito chiamato "Alleanza Nazionale"; chissà, forse memore del decisivo contributo che i Forestali si erano messi a dare al famoso "Golpe Borghese" dell'8 dicembre 1970.

Che meraviglia: finalmente scacciati gli occupanti, lo Stato si riappropriava del posto sistemandovi gli sceriffi di Settingham e i guardiani della foresta di Isolottwood. Gli sgangherati Robin Hood del centro sociale autogestito se ne andassero da qualche altra parte; e così fu. Il risultato lo avete sotto gli occhi. La palazzina, restaurata coi soldi della popolazione della città, costantemente e disperatamente chiusa e inutilizzata. Il reparto a cavallo? Gli unici cavalli che mi è stato dato di vedere in zona, da lontano, sono quelli del vicino ippodromo. L'aula didattica ambientale? Intanto, invece di fare la didattica (che non fanno), si dedicassero a cose un po' meno pompose come dare una potatina alle siepi o ripulire il merdajo che c'è dietro la palazzina; ma, del resto, tutta codesta augusta dicitura viene recata da un cartello plastificato alla bell'e meglio, appiccicato con lo scotch. Sì, davvero un utilissimo uso ne è stato fatto; e si aggiunga che, in realtà, da quelle parti ci vado spesso, e mai che una volta lo abbia trovato aperto. Chi mai ci porteranno a fare la didattica ambientale? E i cavalli? I loro fantasmi vagano forse nella desolazione di quel luogo, tornato rassicurantemente spettrale la notte quando, ai tempi dell'esecrato centro sociale, risuonava di musica, di risate e di vita? Perché questo hanno fatto, come sempre: hanno eliminato la vita per sostituirla con le tenebre istituzionali. Niente più Indiani; ora ci sono i Forestali Metropolitani, presenza insostituibile in questa boscosa città dove vagano liberi i furetti ed agl'incroci si formano educate code di automobilisti che lasciano passare daini e caprioli allo stato brado.

Non mi hanno detto come abbia preso tutto questo il maharajah del tempietto. Qualcuno mi ha detto che era contento quando c'era il centro sociale, si divertiva, e vorrei vedere visto che aveva ventun anni! Magari, chissà, sobillato da quei sovversivi avrà pure cominciato a prendere coscienza, a volersi staccare dall'impero coloniale britannico, persino a finanziare qualche embrione di guerriglia. Ora gli è toccato tornarsene a cercare di dormire il suo eterno sonno nel buio, alla confluenza tra due fogne, sovrastato dal rombo continuo del traffico motorizzato del ponte che gli hanno costruito sul capo. Qualche risata, ma amara, tornerà forse a farsela quando la palazzina cadrà nuovamente a pezzi. Miao!

venerdì 3 ottobre 2008

Noialtri gatti neri, sempre a giro




Noialtri gatti neri ci abbiamo il nero del profondo, e sappiamo servircene. Ma prima, credo, è meglio che mi presenti.

Sono una gatta antichissima, e per questo mi hanno chiamata Pampalea. Pampalea, in greco antico, vuol dire antichissima. Non vi dirò chi mi ha chiamato così, perché non ci credereste mai; ma è stato molto, molto tempo fa. Il mio vero nome lo so soltanto io; non azzardatemi neppure a chiedermelo. E' talmente segreto che a volta faccio fatica a ricordarmene pure io.

Mi trovo, attualmente, in una città di un dato paese. Non mi ricordo se ci sono nata o se ci sono capitata; ma, del resto, la cosa è pienamente indifferente. Mi hanno detto che, in questa città, una volta viveva un gatto di nome Buricchio, che aveva come amici due ragazzi...e una talpa. I due ragazzi si chiamavano Sussi e Biribissi, e la talpa, Sforacchiona. Sembra che qualcuno, un tempo, ci abbia scritto una bella storia sopra, e che pure in questa storia non si nominasse mai il nome della città.

Siccome noialtri gatti, e massime quelli neri, siamo curiosi come gatti, qualche giorno fa sono penetrata a notte fonda in una libreria del centro e ho rubato il volume contenente quella storia; e, per favore, non state lì a meravigliarvi che un gatto sappia leggere. O voialtri umani, quando ci prendete in collo, non vi mettete a fare miao miao come imbecilli? Senza sapere nemmeno quel che ci state dicendo, poi. Ci sono dei gatti che s'incazzano, io invece ho imparato a sopportare. Anche perché sono randagia e in collo non mi ci fo prendere da nessuno, o al limite da chi voglio io.

Siccome sto sempre a giro, e ho imparato a conoscere questa città dove non mi ricordo se sono nata o capitata, dopo aver letto la storia di cui sopra mi sono detta: Acciderba, e se mi mettessi a raccontarle pure io, le mie storie? Tutto quel che vedo e quel che sento in giro? Ai tempi di Buricchio si poteva solo prendere carta e penna, e la cosa forse era preclusa a noialtri gatti; ora, con tutte queste belle e nuove tecnologie, anche una gatta nera randagia può e deve sapere come servirsene.

E così eccomi qua, con questo blog dove ci saranno anche le mie fotografie. Non crediate però che quelle siano fatte con qualche diavoleria meccanica: quelle le scarico direttamente dai miei occhi di gatta. E siccome mi riesce sgattaiolare dovunque io voglia, mi sono messa in testa di raccontare cose che non si dicono spesso, o che magari non si possono nemmeno dire (o che sarebbe meglio non dire). Tutto quel che raccolgo, insomma. In questo compito ho deciso di farmi aiutare da due amici umani, che mica ci vergogniamo, noialtri gatti, di avercene; uno altissimo e moro, e uno basso e biondo. Manco a farlo apposta, a vederli assieme sembrano proprio Sussi e Biribissi. Manca solo una talpa, ma magari cammin facendo troveremo pure quella.

E così, nei prossimi giorni, andremo a incominciare con i nostri giri e con le nostre storie. Cercando, possibilmente, di graffiare. Insomma, cosa sanno fare d'altro, i gatti? Graffiare! E affondare gli artigli nel culo. Mi premurerò, e ci premureremo, di farlo nel migliore dei modi.

Post Scriptum. Magari qualcuno si domanderà cosa voglia dire la frase in greco sotto la mia foto (visto come sono bella?!). Vuol dire: "Gatta nera da tempi antichissimi, ho portato luce nera dai sogni."