mercoledì 30 dicembre 2009

Non-auguri di non-anno da Pampalea



No, non piangere
Lui vagava tranquillo
senza collare,
era libero di andare
e di tornare per la pappa
non era neanche prigioniero
del tuo amore insensato

E comunque neanche tu
avresti voluto che vivesse
come uno stronzo sul divano
lontano dalle piccionaie,
era un avventuriero,
non avresti voluto vederlo legato,
ti avrebbe miagolato: "Morte agli sbirri!"

Il micio è morto,
è cascato dal tetto
è andata così.
È scivolato su chissà cosa
e patatrac,
lo seppelliamo domani, ti giuro,
in una bella scatola da scarpe

Il micio è morto,
ed io e te si va così cosà,
per quale motivo? Perché
ogni volta va così,
perché son sempre i mici
e mai gli uomini a cascare dai tetti?

Era davvero un sacco di pulci,
ancora più libero d'un cane,
non di quei tipi che per una chicca
ti leccano la mano,
ma la libertà, lo vedi,
non è senza pericoli, ed è per questo
che non corre né per le strade, né sui tetti

Era un vero scugnizzo,
il terrore degli uccellini
la notte si appostava
per papparseli belli caldi,
insomma faceva un po' schifo
ma tu hai mai mangiato un passerotto?
Non fa più schifo di un BigMac...

Il micio è morto,
è cascato dal tetto
è andata così.
È scivolato su chissà cosa
e patatrac,
s'andrà domani in un giardino
a seppellirlo ai piedi d'un albero

Il micio è morto
ed io e te si va
così cosà
E come mai? Perché ci si domanda proprio perché
non ci sta mai un papa sui tetti
può darsi che non gli garbi essere troppo vicino al cielo.

Renaud Séchan.

Va donc pas pleurer
Y s'baladait peinard
Il avait pas d'collier
Il était libre d'aller
Et d'rev'nir pour bouffer
Il était même pas prisonnier
De ton amour insensé

T'aurais quand même pas
Voulu qu'y vive comme un con
Sur le canapé
Loin des gouttières des pigeons
C'était un aventurier
T'aurais pas voulu qu'on l'attache
Y t'aurais miaulé: "Mort aux vaches!"

Le petit chat est mort
Il est tombé du toit
C'est comme ça
Il a glissé sur j'sais pas quoi
Et patatras
On l'enterr'ra demain j'te jure
Dans un joli carton à chaussures

Le petit chat est mort
Et toi et moi on va couci-couça
A cause de quoi ? A cause que c'est
Chaque fois comme ça
Pourquoi c'est toujours les p'tits chats
Et jamais les hommes qui tombent des toits?

C'était un vrai sac à puces
Encore plus libre qu'un chien
Pas l'genre pour un su-sucre
A te lécher la main
Mais la liberté tu vois
C'est pas sans danger c'est pour ça
Qu'elle court pas les rues ni les toits

C'était un vrai titi
La terreur des p'tis oiseaux
La nuit y s'faisait gris
Pour les croquer tout chauds
C'est un peu salaud
Mais t'as jamais mangé d'moineau
C'est pas plus dégueu qu'un macdo

Le petit chat est mort
Il est tombé du toit
C'est comme ça
Il a glissé sur j'sais pas quoi
Et patatras
On ira d'main dans un jardin
L'enterrer au pied d'un arbre en bois

Le petit chat est mort
Et toi et moi
on va couci-couça
A cause de quoi ? A cause qu'on s'demande bien pourquoi
T'as jamais un pape sur les toîts
Etre trop près du ciel p't'être qu'y z'aiment pas
.


domenica 27 dicembre 2009

Nataché?!?


Noialtri gatti, sapete, non ci abbiamo bisogno, né mai lo abbiamo avuto, di essere salvati.

In compenso, però, quelli che fanno il tifo per il salvatore ci hanno dato di animali infernali o satanici per un bel po' di tempo. E siccome non era abbastanza, ce ne hanno fatte di tutti i colori. Scannati, bruciati, bolliti, squartati. Però mi dicono che facevano le stesse cose anche ai loro compagni umani, sempre nel nome di quel famoso salvatore. Bel salvatore doveva essere, all'anima!

Quindi non ci abbiamo natali. Nessun gatto soprannaturale. Di questo devono essersene accorti un po' anche gli umani, visto che, quando decidono di bestemmiare il loro dio, ricorrono generalmente al cane. O al maiale. O al boia. Certo che gli devono davvero volere un gran bene, a quel loro onnipotente. Ma rinuncio a capire. Non potrei capire, perché noialtri gatti non abbiamo onnipotenti.

In ogni caso, quand'anche ce lo avessimo, un natale, ci guarderemmo bene dal festeggiarlo in dicembre. Freddo e buio. L'antitesi di quel che siamo. Lo festeggeremmo in giugno o in luglio, nell'emisfero nord; dicembre andrebbe bene solo per quello sud.

Però non ce lo abbiamo, quindi il problema non si pone.

Non ci scambiamo regali; e cosa mai dovremmo regalarci? Non ci sentiamo più buoni perché noialtri ci sentiamo ogni giorno come accidenti ci pare. Non facciamo pranzi in famiglia, al massimo ne approfittiamo per vedere se le vostre famiglie riunite ci ammanniscono qualche cosa di buono durante le loro orge alimentari. Ce n'è qualcuna, ne sono certa, che metterebbe in teglia, bene imburrato, anche Gesù bambino. Al forno, bello croccante.

Non abbiamo nessuna famiglia.

Ogni tanto troviamo un umano che ci spiace un po' di meno, e allora gli entriamo in casa e gli invadiamo il letto.

Poi aspettiamo che quello lì, quel buffo tipo che è nato, fra un tre mesi muoia e poi risorga. Ogni anno. Manco fosse il giorno della marmotta di quel filmino americano. E di nuovo abbuffate; ma andatelo a chiedere a una pecora che cosa ne pensa. Chiedetele se per caso, a dicembre, festeggia la nascita di Gesù pecorino, quando il suo agnellino, in marzo o in aprile, glielo prendono e glielo cucinano.

Ma non avranno di meglio da fare che sterminare il mondo in nome di queste stronzate?

Sembra, purtroppo, di no.



martedì 22 dicembre 2009

Il Donzelli e la somministrazione


Di solito, nei miei post, un miagolìo c'è sempre; epperforza, sono una gatta. Ma stavolta sono tentata dal lasciarmi andare a qualche ringhio canino, ché le lingue le so. Oltretutto il CPA, del quale si parla in questo post, è frequentato da un buon numero di cani i quali, e lo dico a ragion veduta, sono assai più socialmente utili dell'umano rappresentato nella foto. Ebbene sì, sempre lui: l'ineffabile Giovanni Donzelli, consigliere comunale del PDL (abbreviazione di Partito Dei Laureati, ndr), mago delle interpellanze, sposo tradizionalista & sostenitore delle ninfomani, e nemico n° 1 del suddetto CPA. Una vera ossessione, dev'essere per costui il CPA; v'è il forte sospetto che ne berci anche durante il dovere coniugale, altresì detto Foibus Interruptus.

Occhiale inforcato sul capo, abbronzato, aspetto da Colle Bereto semovente o da Isola de' Famosi al Rifrullo; un vero gggiòvane degli anni zero. Come zero, appunto, è generalmente cacato in questa città, a parte qualche volta in cui rimedia delle figure di guano -pardon, di guame- qua e là unite a qualche lecca. Però lui ci ha le interpellanze. Interpella a un ritmo che ricorda da vicino i famosi telegrammi di Saragat; e perlomeno l'80% per cento di tali interpellanze donzelliane riguarda il CPA. Un'ossessione che potrebbe e dovrebbe essere studiata ammodino da uno psicanalista, tanto riporta chiaramente a un rapporto di Lieben-Hasse. Ci tenta in tutti i modi: raccoglie firme, comunica alla stampa e, va da sé, interpella. Pare però che la Settimana Enigmistica si sia ispirata a lui per l'Agente Zero, risultati Zero.

L'ultima interpellanza donzelliana concerne, incredibile dictu, il CPA. Non lo avreste mai detto, eh? Stavolta è in forma di giacchiùs nei confronti dell'assessore Mattei; il quale, essendo evidentemente dotato di un minimo di raziocinio, ha riconosciuto che il CPA, nonostante la continua e becera campagna denigratoria orchestrata dal Donzelli e dagli amichetti suoi di Aziongiovinòtti e di Casaggì (il Centro sociale di destra -ROTFL- noto soprattutto per essere il principale imbrattatore di muri dell'intero territorio comunale), è un patrimonio di questa città, sotto ogni aspetto. E non sarà certamente un caso se, al sabato sera, i ragazzi e le ragazze fanno letteralmente a gomitate per entrarvi, mentre via Maruffi rimane desolatamente tranquilla e vuota. Via Maruffi non sarà mai un problema di ordine pubblico, dato che l'unica cosa di pubblico che ricorda è un cimitero.

L'interpellanza? La solita zuppa. Ricorda come al CPA "siano stati individuati personaggi del mondo dell’antagonismo già arrestati in varie inchieste giudiziarie italiane"; la solita, stantìa strategia fascistellante che consiste nell'associare l'antagonismo al terrorismo. Ma il massimo, questa volta, il Donzelli lo dà con la somministrazione: "Senza contare che nel centro sociale vengono organizzate feste con somministrazione di bevande ed intrattenimento musicale, nonostante l’assenza di qualsiasi tipo di autorizzazione e licenza, che poi vengono perfino pubblicizzate sulla stampa cittadina". Segue la consueta richiesta di sopralluogo in via di Villamagna al n° 27 (ancora non l'ha capito che il CPA è al numero 27A) ai fini di regolarizzare questa illegittima usurpazione.

C'è invece, a questo punto, seriamente da chiedersi che cosa venga quotidianamente somministrato a Giovanni Donzelli. Quale sostanza psicotropa, quale misteriosa pozione, o più semplicemente quale comunissima polverina che tanto gira nei localini trèndi che gli garbano tanto. Eppure i tipini del genere non sono nuovi a clamorosi scivoloni: ce lo ricorda ad esempio un suo certo compagnuccio di partito, tale Prosperini Pierbarbagianni. Quello che si proponeva come flagello dei centri sociali. Vedi, Donzellon de' Donzelloni, cosa succede a flagellare un po' troppo: si fa come i pifferi di montagna, che partirono per sonare e tornarono sonati. La somministrazione. A meno che, con tale termine, il Donzelli non si ripeta in trance: so' ministro...so' ministro...so' ministro...


sabato 19 dicembre 2009

Nuovo scoop di Pampalea: L'Italia adotta la valuta dell'Azerbaigian!


Giornate di freddo polare (MIAOO!) e di scoop, queste: oggi Pampalea, in diretta da casa di Biribissi, è oltremodo lieta e fiera di presentavi la nuova valuta ufficiale della Repubblica Italiana.

Ebbene sì: dopo che il nostro amatissimo premier, Silvio Berlusconi, è stato fatto oggetto di un lancio che -finalmente!- ha sprigionato tutto l'amore esistente in questo paese, la Banca d'Italia ha deciso di abbandonare il bieco euro -il quale riporta alle funeste stagioni di Romano Prodi- e di adottare seduta stante, con cambio alla pari, la valuta dell'Azerbaigian: il Manat.



"A dire il vero", ha precisato il governatore Draghi (nella foto sopra), "avremmo dovuto adottare un ipotetico Duomat per rispettare la realtà dei fatti; ma poiché la creazione di una nuova valuta ad hoc avrebbe comportato troppi problemi, ci siamo risolti all'adozione del già esistente Manat azero, che comunque ricorda a sufficienza l'amorevole mazzata cui il nostro primo ministro è stato sottoposto."

A questo punto non ci resta che augurare a Berlusconi di prendere sempre più Manat; cosa che, certamente, a un miliardario non può fare dispiacere. Così come, altrettanto certamente, non gli avrà fatto dispiacere la duomata. Come si sa, l'odiens vince sempre sull'amorens. Consiglio quindi a tutti di gioire per un Manat azero (e palla al centro).


venerdì 18 dicembre 2009

martedì 15 dicembre 2009

I gatti e gli albanesi


La madre di uno dei miei due amici che mi aiutano nella compilazione di questo miagolante blog, è senz'altro una donna più che brava. Fa benissimo da mangiare (un po' tendente al grasso, d'accordo, ma alla sottoscritta la cosa non dispiace por nada), è affettuosissima con ogni tipo di felino e, in casa sua, la foto del suo vecchio gattone oramai passato tra i più è attaccata a una parete accanto a quella dello scomparso marito. Ha una certa età, come avrete senz'altro capito; quindi, magari, bisogna scusarla e capirla se passa la sua giornata davanti alla televisione (a guardare prevalentemente tutta la peggiore paccottiglia, fra quizzini, forum, telenovele brasiliane e persino, ohimé, La vita in diretta) oppure a ciarlare con le vicine, coetanee e più anziane di lei. Abita da quasi cinquant'anni nello stesso quartiere; quando c'è andata a stare c'erano per davvero ancora i campi (e un blocco di case popolari), e lo ha visto venire su; suo figlio minore, vale a dire proprio il mio amico, è addirittura il primo nato in assoluto dell'intera strada. Un quartiere qualsiasi, magari abbastanza noto in giro per il mondo a causa di un campo di calcio dove dicono si alleni una non meglio precisata Nazionale, abitato da gente qualsiasi e attualmente dalla popolazione decisamente in su con l'età (come, del resto, tutta questa città, che è una delle più "vecchie" del paese).

Un bel giorno sono arrivati però, anche in quel quartiere, gli immigrati. E chi ne aveva mai sentito parlare prima, per esempio, degli albanesi; al massimo qualcuno si ricordava di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per graziadiddìo Imperatore d'Etiopia e d'Albania. Più o meno dei Marziani, insomma; anzi, i Marziani uno se li immagina (verdi, con le antennine, chiazzati, con i dischi volanti) mentre gli Albanesi proprio no. Sono arrivati, si son messi chi a lavorare e chi a spacciare qualche polverina per arrotondare lo stipendio, una volta ne hanno trovati quattro a dormire in una vecchia Uno (detta "La Durruti") abbandonata proprio dal mio amico che nel frattempo era emigrato momentaneamente in Isvìzzera, hanno imparato l'italiano parlandolo in certi casi assai meglio degli italiani, si son portati dietro le famiglie, e hanno fatto altri figli. Nel blocco di case popolari, sui campanelli, si son cominciati a vedere nomi bizzarri (tipo Korçi, Vllazër, Krivokuqi o Shaxhie) al posto dei Pinzauti, dei Degl'Innocenti e dei Pierattini; e, insomma, tutto normale. Dev'essere successa più o meno la stessa cosa quando, che so io, a Nogent-sur-Marne, nei primi anni '30, i Pinzauti, i Degl'Innocenti e i Pierattini hanno sostituito i Dupont, i Durand e i Desmoulines diventando, nel giro di una generazione, Pansotì, Delinosantì e Pierattinì. Oppure a Boston, coi Pinsiutew, i Delinos e i Peterson o roba del genere. Tutt'altro che Marziani. Normalissimi lavoratori, o anche spacciatori. Con due gambe e due braccia. Coi bambini che vanno alle elementari e alle medie davanti alla Coop, mentre la mamma fa la spesa alla Lidl dove si spende di meno. Un giorno faranno gli spaghetti al sugo e quello dopo il tasqebap, quello dopo ancora il tiramisù e quell'altro il kadaif.

Ora, dovete sapere che qualche giorno fa, assieme al mio amico, mi son proprio ritrovata in casa di sua madre; e destino volse che ci fossero pure le sue vicine. Non che mi dispiacesse, dato che mi son beccata da tutte quante una congrua dose di coccole ed anche qualche avanzino che schifo non mi ha fatto; a dire il vero, poi mi sarei fatta anche una dormitina, però il bla bla che risuonava nella cucina raggiungeva picchi Decibel ai limiti del consentito dalla legge. E lo capisco, perché quelle donne, eh, le son tutte un po' sorde e c'è poco da fare; a questo si aggiunga, naturalmente, la tv a tutto volume su non so quale programma di Rete 4, dove a sua volta c'era gente che berciava. Insomma, impossibile dormire. A un certo punto, visto che comunque restavo un'attrazione del tardo pomeriggio (una Pampalea mica la si ha in casa tutti i giorni, perdiana!), si sono messe a ragionar proprio di gatti. Ed è saltata fuori una cosa sorprendente.

"Eh, certo che qui in giro di gatti non se ne vedono più, e prima ce n'erano tanti!", ha esclamato la signora C., una ligure che sta da queste parti da sessant'anni, ma che parla ancora onegliese puro.

"Davvero! O che fine avranno fatto?...", ha domandato la madre del mio amico.

"Io lo so!", ha ribattuto con un'aria tra l'indignato e il compunto la signora M., un donnone normalmente gioviale e dall'eloquio piuttosto forbito. "Se li mangiano tutti gli albanesi!"

Mi si sono, a quel punto, rizzate le orecchie; ed è stato in quel momento che il mio amico mi ha colta con la sua Kodak da Treggia's Blog, mentre sgranavo gli occhi. È la foto che potete vedere all'inizio del post. Gli albanesi che mangiano i gatti ?!?!?

Mentre ero lì, meravigliata assai e anche un po' preoccupata (e vorrei vedere voi, se vi dicessero che gli albanesi mangiano i salernitani, oppure i milanesi, oppure ancora i messicani!), quando la signora M. ha ribadito implacabile: "Me l'ha detto un'amica di mia cugina che sta qui dietro in via *****, ne ha visti due che andavano a caccia di gatti con un sacco!"

Al che si sono scatenati nella cucina quindici minuti buoni di stigmatizzazione andante, per chiamarla così; e questi albanesi che non s'accontentano di rubare e di spacciare, ma pure se magnano li gatti! Al che non ho retto, sono sgattaiolata via e me ne sono andata a fare qualche indagine in giro. Ovviamente, noialtri gatti sappiamo come muoverci, e se per caso, in un dato quartiere, non ci facciamo più vedere troppo in giro per un certo periodo, ci sono i suoi bravi motivi.

Dopo una ventina di minuti, nel giardino di fronte ho trovato una mia vecchia conoscenza, un gattone tigrato di cui non farò naturalmente l'ineffabile, effabile, effanineffabile nome*. Ci siamo messi a miagolare un po', e gli ho chiesto se era vero della storia degli albanesi; e accidenti a me. Fra poco lo facevo stramazzare dal ridere! Quando si è ripreso, è riuscito finalmente a dirmi: "Ma come, Pampa, anche a te hanno raccontato 'sta storiella?" Gli ho detto di sì, e allora mi ha fatto cenno di andargli dietro. E mi ha portata in giro per il quartiere, tra giardinetti segreti, tettoie, garages dismessi, muriccioli e quant'altro. Pieni di gatti. Sembrava il gattatoio universale. "Ehi, ragazzi!", gridava il mio amico tigrato, "vi presento la Pampalea dell'Isolotto! Ultima vittima della bischerata degli albanesi mangiagatti!"; ne è seguita una sghignazzata generale.

"Guarda che qui ci sono gli albanesi, mica i vicentini!", ha esclamato una gattina bianca, delicata e nobiliare assai; un gattaccio nero, ancora più nero di me, ha cominciato a mimare Striscia la Berisha, la vecchia macchietta di Gene Gnocchi e Tullio Solenghi, facendo al contempo, con le zampe anteriori, il gesto di affilare i coltelli.


A un certo punto, un vecchio gatto mezzo spelacchiato, uno che del quartiere deve sapere tutto ma proprio tutto, mi ha presa in disparte tutto serio e grave, come si confà senz'altro alla sua età. E ha cominciato a spiegarmi meglio la cosa.

"Vedi, Pampalea",mi ha detto, "qui una volta si girava tranquilli. C'erano sì le strade più trafficate, ma per il resto erano stradine tranquille dove si poteva zampettare relativamente sicuri di non essere stiacciàti. Ora ci hanno fatto vialoni, rotonde, ci passano tre linee di bùssi, ci sono quelli co' sùvvi, e via discorrendo. In più sui tetti non ci si pòle andare, perché non sono fitti e a noialtri gatti non ci riesce di volare, anche se qualche volta ci si prova lo stesso. E ci credo che non ci vedono più in giro! Pensa che, qualche tempo fa, in questo quartiere c'erano persino i bambini che giocavano per la strada, ma ora non si vedono più nemmeno loro; o che se li mangeranno anche loro, gli albanesi? E 'un so' più nemmeno comunisti! Ah, a proposito, l'hai presente quella gattina bianca che t'ha detto dei vicentini, prima? Devi sapere che da mangiare, e da dormire, glielo dà la famiglia Hoxha, lì di fronte, di Durazzo..."

Rassicurata assai dalla cosa, ho cerimoniosamente salutato tutti quei compagni e quelle compagne di pelo, e me ne sono tornata verso casa della madre del mio amico; s'era fatto tardi, e s'aveva da tornare all'Isolotto. L'ho trovato, il mio amico, già sul portone e ci siamo messi a ragionare. Scuoteva il capo. Scuoteva il capo e rideva un po' amaramente. Mi ha guardata, e mi ha detto:

"Ok, stasera non so che far da cena...dovrò guardare su Internet la ricetta della Pampalea con peperoni come la fanno a Argirocastro...anzi no, a Valona!"

S'è beccato una soffiata. Ma di quelle serie, giuro!

*Thomas Stearns Eliot, Old Possum's Book of Practical Cats, I.

venerdì 11 dicembre 2009

sabato 5 dicembre 2009

L'Oriana ritargata, ovvero Pampalea ruba il mestiere al Treggia's Blog


L'importantissima notizia è stata riportata e messa nel debito risalto su Io non sto con Oriana: ebbene si, dopo lungo tempo in cui deve aver circolato irregolarmente, finalmente alla defunta Oriana Fallaci è stata di nuovo attribuita una targa.

Fin qui la notizia. Ma la qui presente gatta Pampalea, rubando un po' il mestiere al Treggia's Blog, è in grado di produrre un eccezionale scoop: la foto di Oriana Fallaci con la nuova targa. Oddio, "nuova" si fa per dire. Come si può vedere, fra l'altro, la targa attribuitale non è segno di un'eccessiva considerazione; ma tant'è. L'Oriana "campionessa occidentale" dovrà rassegnarsi a circolare eternamente targata Pisa. Pisese per sempre. Ford Transit gloria mundi!

giovedì 3 dicembre 2009

Via del Campo e via del Campuccio


Forse non ve lo immaginereste mai, ma durante i miei miagolanti giri assieme ai miei due amici Sussi e Biribissi ho una vera e propria passione per le lapidi che, in un'antichissima città come questa, sono ovviamente a migliaia. In questo, andare a giro con due amici umani del genere è assolutamente necessario: se uno, infatti, ha costantemente la testa all'insù, l'altro è una specie di esperto - o comunque conoscitore- di ogni lingua e linguaggio esistente. E poiché, molto spesso, le lapidi sono redatte in latino, costui deve regolarmente improvvisarsi traduttore.

Qualche giorno fa, stavamo passeggiando per una via dell'Oltrefiume (lo chiamo così, perché se dicessi il nome del fiume capireste subito in quale città siamo), quando abbiamo visto questa lapide, assai curiosa. In latino, sì, ma con due righe redatte in un bizzarro alfabeto; al mio amico è bastata un'occhiata per sentenziare che era ebraico. "Una cosa assai strana", ha detto, "perché qui siamo ben al di fuori dell'attuale quartiere ebraico, ed anche dal vecchio ghetto abbattuto con il 'risanamento' dei tempi della Capitale". Poi, piano piano, con la traduzione improvvisata, è apparsa chiara la particolare storia di questa lapide, e anche dell'edificio sul quale è sistemata.

Bisogna quindi tornare indietro all'anno del Signore 1627 (MDCXXVII), quando gli allora granduchi di Toscana, la real coppia formata da Ferdinando II de' Medici e Maria Maddalena d'Austria, decisero di istituire un monastero di suore francescane, dedicato a Sant'Elisabetta delle Convertite. Ma non un normale monastero ove le pie donne (ma pie pie pie!) si rinchiudessero in santa preghiera e a lavorar di pizzo, di gale e di trine come ne' beghinaggi delle Fiandre: costoro avevano invece il compito preciso di accogliere ragazze un po' meno pie, che svolgevano, come dire, tutt'altro tipo di lavoro. Per farla breve, il monastero nacque con il proposito di riportare ad una santa vita cristiana le prostitute del quartiere. Le quali non dovevano essere pochine.

Sarà forse facile ironizzare su questa cosa; ma bisogna anche -come diceva stavolta il Biribissi- tenerne conto di un'altra. Queste ragazze, che adempivano ad un compito primario -anzi, meglio, ad un valore, come ben si evince dal comportamento del nostro piìssimo attuale primo ministro tutto famiglia e moralità-, una volta passati gli anni e dopo avere incassato dosi massicce di disprezzo ed emarginazione durante il giorno, nonché di appuntamenti nascosti prezzolati la notte, spesso e volentieri in compagnia degli stessi gentiluomini che col sole le additavano alla pubblica riprovazione, si ritrovavano letteralmente nel baratro. Un'istituzione come quella provvedeva a dar loro un tetto e da mangiare; fermo restando che, dopo una vita passata a soddisfare le luride voglie della gente perbene, per quelle donne un bel po' di castità e di tranquillità non doveva pesare affatto. E neppure ritirarsi un po' da un mondo che era di merda ora come allora.

Ed è questo il senso della lapide, che così recita

FERDINANDVS II MAG(NVS) D(VX) ÆTRUR(IÆ) ET
MARIA MAGDALENA MATER ARCHID(VCIS)
AUST(RIÆ) HVIVS ÆDIFICII OPVS PIO ÆRE
PERFECERV(N)T VT AVRV(M) HOSTIS CASTI
TATIS CVSTOS EVADERET PVDICITIÆ
LAHABETIEL 'ESHU TESER MA'ALET RUMMUTH
RUZNINUNEGER HITESER
AMORE DIVINO INFLAMMATI SERENIS(SIMI)
PRINCIPES NO(ST)RI PRÆBVERE EXEM
PLVM MAGNÆ HONESTATIS CON
TRA MAXIMAM INHONESTATEM
A.D. MDCXXVII


Ovverossia: "Ferdinando II, granduca di Toscana, e Maria Maddalena, madre del Granduca d'Austria, hanno compiuto l'opera pia di costruire quest'edificio, affinché esso, custodendo la castità, serva a far evitare con pudore il nemico rappresentato dall'oro. Hanno agito con gentilezza per amore di Dio, e con gentilezza i nostri Signori sono ascesi alla supremazia. Infiammati dall'amore di Dio, i nostri serenissimi Prìncipi hanno dato un esempio di grande onorabilità contro il più grande dei disonori. Nell'anno del Signore 1627."

Strana cosa, vero? Inattuale. Si preoccupavano persino, questi antichi Principes, che delle prostitute, delle reiette, potessero avere un posto dove vivere il resto della loro vita con un po' di pace. Non è neppure da scartare che qualche membro della real casa, poi poi, si fosse ampiamente servito di qualcuna di loro, quand'erano ancora ne' verdi anni. Curioso, ma nemmeno troppo, che poco più d'un secolo dopo la casata de' Medici si estinguesse nella rovina fisica di Giangastone, una specie di enorme bozzolo di due quintali, bulimico, immobilizzato a letto, impotente e ributtante. Qualcosa che si è perpetuato nella memoria fino al giorno d'oggi: ancora adesso, per definire un ragazzo o un uomo alto, grosso e grasso, si dice in questa città che è un giangastrone. Con una "r" infilatasi là in mezzo, probabilmente per assonanza con il gastro- di "pancia" e del mangiare smodato.

Cose d'altri tempi. Un mondo che non c'è più. Le prostitute, in quel quartiere, ci sono però ancora. Se a qualche campanello si vede il cognome "Rossi", potete star sicuri che si tratta di una qualche ragazza nigeriana, o rumena, o moldava, o di chissà dove, che offre i suoi servigi ai soliti clienti, sovente rispettabili. Senza peraltro che ci sia nemmen più un Granduca o una Granduchessa che offra loro riparo e assistenza.

E così termina questa storia, probabilmente senza costrutto e, più che altro, senza nessuna morale. Una capatina nel passato. E forse anche nell'immaginazione. Del resto, dovete sapere che la strada in cui questa lapide si trova, al numero 45, si chiama via del Campuccio. Vi ricorda niente? A me sì. Mi ricorda un'altra strada dove c'era una graziosa, e dove dal letame nascevano i fiori. Mi ricorda che, forse, potrebbe essere andata a finire là dentro, a pregare Dio per una minestra ed un letto, a sentir messe tridentine e a pensare, chissà, d'avere amato qualcuno, un tempo.