venerdì 30 ottobre 2009

Lo Spaventamicini

Miao.

E questo miao dev'essere inteso come espressione di grande disappunto, sia ben chiaro.

Noialtri gatti abbiamo il diritto di fare i gatti, e di andare in giro dove ci pare. Inoltre, siamo curiosi per natura: figuriamoci se, in costante apprensione come siamo per le macchine degli umani, che ci stiàcciano, sbudèllano, marzàgrano e via discorrendo, mi lasciavo scappare l'occasione per andare a fare un giro in piazza del Duomo pedonalizzata. Mi sono detta: "Una volta tanto che un sindaco ne azzecca una, bisogna proprio che vada a dare un'occhiata nonostante la non breve zampettata che mi aspetta". E così è stato.

Proprio bella, piazza del Duomo senza più automobili, senza puzzolenti autobus stracolmi di gente, senza rumori. Me la stavo, insomma, decisamente godendo. Avevo persino scorto alcuni gatti belli tranquilli, che in quel posto non si vedevano più dal 1907. Una meraviglia. Mi sentivo talmente bene da esser persino pronta a scambiare qualche impressione con un pastore tedesco che gironzolava nelle vicinanze; ma, all'improvviso, l'orrore. È scappato pure il cane.

Il fatto gli è che, da un austero palazzo che sorge su quella piazza, che va sotto il curioso nome di Curia Arcivescovile, è uscito a piedi l'umano che vedete nella foto. Mi si è rizzato il pelo. Ammazza, quant'è brutto!, mi sono detta quando ancora non lo avevo scrutato appieno; una volta ritrovatomelo vicino, si è sfiorata la tragedia. Una mamma gatta che passava con la sua cucciolata di sei micini, proveniente da qualche tetto delle vicinanze, ha dovuto faticare per riagguantare la sua prole che, alla visione di quell'incrocio tra un Godzilla gottoso e un ornitorinco tourettico, era scappata a zampe levate in tutte le direzioni. Non si può. Certi esseri umani dovrebbero stare un po' attenti a circolare liberamente con simili facce. Anch'io, che sono senz'altro, oramai, una gatta navigata (e che Παμπαλαία sarei, altrimenti?), ho provato in me la morsa di Phobos e Deimos.

Mi hanno detto, poi, che quel tizio sarebbe nientepopodimeno che l'Arcivescovo di questa città. Uno che non ci è manco nato, che ce l'hanno spedito a far non si sa cosa; ma che cosa faccia lo si è visto in questi giorni. Piglia dei suoi sottoposti che dimostrano un po' di coraggio e un po' di indipendenza, e li rimuove con il gentile e disinteressato consenso di alcuni servi (come tale Giovanni Pallanti). Li manda a meditare in preghiera, e al loro posto, in un quartiere che ha altro a cui pensare che alle pedonalizzazioni, ci mette un vecchio d'ottantaquattr'anni.

Brutto, sì. Ma di quei brutti che sanno bene cosa significa il loro potere. Che sanno bene come mettere a tacere qualsiasi voce dissonante. Che, probabilmente, non credono neanche in quel loro Crocifisso che appenderebbero anche nell'ultimo cesso pubblico della città. E che non capiscono che la loro Chiesa (così la chiamano), se ancora esiste e se ancora un po' si regge, lo deve proprio a quegli uomini, come Don Santoro, che ancora sono capaci di andare contro. Così facendo, lo Spaventamicini ha firmato un atto di morte. Per la sua Chiesa, però. Muore, ed è già morta, qualsiasi cosa che si riduce ad un vuoto e rigido sistema di dogmi, di rituali, di obbedienze cieche, di poteri. Brutto fuori, e brutto dentro. Un volto che emana viscidume. Un tempo, nelle campagne, esisteva un crudele detto che però aveva una qualche verità: segnato da Dio.

Vada allora, lo Spaventamicini di piazza del Duomo, a farsi un giretto per le sue chiese. Le uniche piene stracolme sono quelle dei Don Santoro, sempre che ne esistano altri. Le altre sono vuote. Neocatecumenalmente desolate. Pochi vecchi biascicanti. Le sfilate di moda per la messa di Natale, e poco più. A nessuno gliene frega più un cazzo, di un Dio senz'anima, senza cuore, senza costrutto; e ben gli sta a chi lo ha inventato. Gliene frega di uno che viene rimosso per avere sposato due persone che si amano; e ce ne frega anche a noialtri gatti.


martedì 27 ottobre 2009

Alcune modest proposals della gatta Pampalea per i prossimi tabelloni pubblicitari sui ponti cittadini


E così, cari amici di pelo e senza pelo, pare che l'Esselunga abbia, stante l'insurrezione di mezza città, deciso di far rimuovere il tabellone pubblicitario sul Ponte Vecchio (che sarebbe dovuto restar là fino al 15 novembre, per poi essere sostituito da un altro di eguali dimensioni), chiedendo addirittura scusa alla popolazione. Ho però come il sospetto che abbiano fatto due conti, quei signori, e temuto un certo qual effetto boomerang sulle vendite di forchette e cucchiaini piuttosto che ravvedersi dello scempio ordito ai danni dello storico ponte.

Chiedendomi come mai, per un restauro da effettuare sul principale e più noto ponte cittadino, patrimonio di tutti ed anche dell'umanità si debba ricorrere alla sponsorizzazione privata a base di inutili oggetti finti-"esclusivi", e non a risorse economiche pubbliche gestite da soprintendenze e soprintendenzine che rompono i coglioni ai privati cittadini abitanti in un palazzo storico anche se devono far cambiare una lampadina, e poi permettono che un ipermercato sconci il Ponte Vecchio, oggi vorrei fare qualche modesta proposta per i futuri massacri di ponti cittadini, visto che questa è la moda e che persino su Palazzo Pitti campeggia da mesi, su un ponteggio mascherato da facciata, un megatabellone con una discinta modellona facciabbischero che fa pubblicità ad una non meglio precisata Amy Gee.

Io, da gattaccia popolana & girellona, propongo che, almeno, sui ponti cittadini si faccia pubblicità a negozi del quartiere. Basta "grande distribuzione". E basta anche con la dittatura dei ponti centrali. Quello che vedete nella foto in alto, ad esempio, è il Ponte a Greve. Se proprio lo si dovesse restaurare (anche perché ci passano sopra seicentomila macchine al giorno su via Pisana), lo si sponsorizzi con un bel tabellone del vicino Salumificio Senese (in via di Ugnano), ché sicuramente le sarcicce e i presciutti che vende sono assai migliori dei cucchiaini Sambonet.


Questo qui sopra, invece, è il Ponte all'Asse, sulla via delle Bagnese. Casomai minacciasse di crollare isolando l'omonimo (e delizioso) borghetto, lo si sponsorizzi con un tabellone fatto in casa della Premiata Falegnameria Pinzauti. Ora, a dire il vero, non so se esista davvero una Premiata Falegnameria Pinzauti; ma lo ritengo piuttosto probabile. Una qualche falegnameria nelle vicinanze esisterà di sicuro, e Pinzauti è un cognome assai diffuso nella zona. E, casomai non esistesse, si fondi all'istante una falegnameria, la si chiami "Pinzauti" (o si trovi un Pinzauti disposto a fare sia pur da prestanome) e si proceda, creando peraltro posti di lavoro.


Quest'altro ponte è il Ponte sul Mugnone. Le piene del Mugnone non sono frequenti, ma quando avvengono sono dei quattro novembre sessantasei neanche tanto in miniatura. Il 30 ottobre 1992 ne avvenne una che, in quattro balletti, trasformò il quartiere limitrofo dello Statuto in un lago (e dire che non era stato toccato dall'alluvione del '66!). Dovesse ripetersi tale calamità e il ponte (anch'esso assai trafficato) fosse minacciato, se ne sponsorizzi il rifacimento e il rafforzamento ricorrendo alla pizzeria dello Spera, luogo deputato al ristoro a buon mercato di generazioni di liceali.


Infine, quello che si vede qua sopra è il Ponte dell'Indiano. Ora, non vorrei dire, ma se tale ponte scricchiolasse, altro che Ponte Vecchio. Qui si manderebbe in tilt un'intera città. Per le future opere di restauro e consolidamento propongo di dare una mano fattiva al Terzo Mondo pubblicizzando liberamente uno dei suoi principali prodotti:


Naturalmente, per tutta la durata del restauro il ponte dovrebbe essere ribattezzato Ponte del Pakistano.

sabato 24 ottobre 2009

Ponte Esselunga, già Ponte Vecchio



Nonostante la bella giornata di sole, e per una gatta il sole è assolutamente necessario, oggi forse avrei preferito non essere uscita, o andare da qualche altra parte invece che nel centro storico. Invece no: ho deciso proprio di andare verso quello che, fino a qualche giorno fa, in tutto il mondo era noto come Ponte Vecchio, e che ora invece sarebbe più opportuno chiamare Ponte Esselunga, dal nome della nota catena di supermercati che se ne è impadronita, piazzandoci sopra -con il pretesto di alcuni lavori che ovviamente dureranno almeno fino al 16 gennaio 2010, data di scadenza della promozione delle posate Sambonet- il gigantesco tabellone pubblicitario che potete osservare nelle disgraziate fotografie prese da uno dei miei inseparabili amici (nella fattispecie, quello lungo).

Mi ricordo, quand'ero ancora gattina, di un bislacco movimento, chiamato "Amici della Bicicletta", il quale riuscì addirittura a spedire ad un'elezione municipale un suo rappresentante in consiglio comunale. Tale movimento, che lottava contro i' degrado del centro storico focalizzandosi correttamente non sui venditori abusivi, bensì sulle orde di turisti di massa, sulle legalissime pizzattaglio & rivendite di paccottiglie e sull'espulsione dei cittadini dal centro a cura di banche, assicurazioni, stylisti eccetera eccetera, aveva adottato uno slogan riportato su migliaia di adesivi e manifesti: Questa città non è Disneyland. Bene. Ora come ora, forse, sarebbe più giusto affiggere degli adesivi e dei manifesti con sopra scritto: Disneyland non è questa città. Dubito infatti (e me lo confermano alcuni amici gatti colà residenti) che a Disneyland si abbia tale ed abnorme cattivo gusto. Il ponte più antico e più noto della città, famoso in tutto il mondo, vero e proprio simbolo di bellezza, trasformato in semplice e terrificante supporto pubblicitario per un supermercato e per le sue promozioncine coi punti.

Vorrei anche felinamente far notare che si tratta dello stesso Ponte dal quale, in nome della salvaguardia da i' degrado, qualche tempo fa un solerte assessore fece rimuovere tutti i cosiddetti "lucchetti dell'amore" che le coppiette avevano attaccato alla grata che protegge la statua di un celebre beccajo, pardon, di un celebre orafo, che vi si trova. Può darsi che sia un'usanza abbastanza imbecille, certamente, o una moda del cavolo corroborata dai romanzetti di Moccia; ma, certamente, i lucchettini non erano poi poi così visibili e "degradanti" come il mostruoso tabellone alla cui installazione il Comune deve avere pur dato l'assenso. Ma si sa bene come funzionano le cose: quando c'è di mezzo il dindino e un bello sponsor di quelli tosti, non c'è più degrado che tenga. E l'Esselunga del tizio che pubblica i pamphlet contro i concorrenti rossi della Coop, la quale -a sua volta- sfratta il centro sociale per costruire l'ipermercato, è senz'altro un ottimo sponsor, coi suoi gioielli.

Dev'essere davvero un triste destino quello che accomuna i Ponti Vecchi di tutto il mondo. Quello di Mostar (Stari Most) fu fatto bombardare e distruggere durante una stupida guerra da un generale croato, il quale ebbe a dichiarare raggelantemente: "Era antico? Lo rifaranno più antico di prima". Anche il Ponte Vecchio che vedete nella foto, oramai trasformato in Ponte Esselunga, o Ponte dei Cucchiai e delle Forchette in finto argento, corse il rischio, nel 1944, di essere fatto saltare in aria dai tedeschi in fuga, che peraltro riservarono lo stesso destino a tutta la zona circostante. Il Ponte si salvò grazie al console tedesco, Gerhard Wolf, come si legge in una lapide fatta affiggere dal Comune circa due anni fa:


Si è salvato, il Ponte, dalla barbarie della guerra; ma non si è salvato da quella dei supermercati. Si è salvato grazie ad un tizio che di cognome faceva Lupo, ed io, gatta, mi trovo senza remore a dover ringraziare un lupo; pensate un po'. Ma dai lupi famelici del mercato e dell'imbecillità no, non si è salvato. Ha resistito anche ad un'alluvione rovinosa, ma all'inondazione dei cucchiaini non ha resistito. E me ne sono tornata verso il mio quartiere di periferia, passando giusto giusto davanti ad uno di quei supermercati, e ripromettendomi di farci una visitina nottetempo assieme ad una congrega di gatti che so io. O stai a vedere che la mattina, quando riaprono, di forchettine e cucchiai ne trovano di meno!

martedì 13 ottobre 2009

Ezz Rapàunde


La foto segnaletica che, miagolàn miagolando e vincendo la mia naturale pigrizia felina, ho trovato sull'Internet, appartiene a tale Ezra Loomis Pound, di professione poeta americano, però anche fascista. Fu scattata, come si evince dalla data precisa stampigliata sulla foto, il 26 maggio 1945. Il fatto gli è che, dopo aver propagandato per anni fascismi, nazismi, mussolismi, superòmi, ideogrammi cinesi, raperonzoli, cornacchie e tarzanelli rinsecchiti nelle mutande, il Pound in questione fu poco cerimoniosamente ingabanàto dai suoi connazionali che, per sua disgrazia, avevano vinto la guerra. Fu rinchiuso in condizioni inenarrabili a Pisa (dato che, sì, aveva scelto di vivere in Italia), poi imprigionato per una decina d'anni negli USA. Fu liberato, sembra, soprattutto grazie all'azione dell'élite intellettuale di sinistra degli Stati Uniti, guidata in primis da Howard Fast; ché davanti alla cultura non esistono, pare, barriere politiche. Non appena scarcerato, tornò in Italia, ove se ne mòrse in età abbastanza tarda. Questo per quanto riguarda una succinta biografia di questo strano tipo di umano.

Con ogni probabilità, anzi con relativa certezza, è stato un grande poeta, tra i più significativi del XX secolo; e, come buona parte dei poeti più significativi del XX secolo, in generale risulta assolutamente incomprensibile, se non lo si affronta con debiti e assai approfonditi studi; questo vale soprattutto per ciò che è ritenuto il suo capolavoro, quei Canti Pisani (Pisan Cantos) che egli redasse proprio durante la sua dura prigionia in quel di Pisa. E che un soggiorno forzato a Pisa, perlopiù in precarissime condizioni, segni tremendamente la psiche umana è perfettamente comprensibile anche in un fascistone estetizzante già di per sé oscuro. Stanti così le cose, ora chiederò a tutti voi che mi leggete un autentico sforzo sovrumano. Ma è notte, i croccantini sono buoni e ho tempo da perdere.

Come qualcuno di voi saprà, in questi ultimi tempi, in Italia, si è sviluppato un buffissimo movimentino di estremadèstra che proprio dal suddetto Ezra Loomis Pound prende nome; si chiama Casapound, detta familiarmente Casapàunde perché qui si dice Ezz Rapàunde (esattamente come Mar Lombrando). Se ne parla più compiutamente in questo post , dove si ricorda anche come domenica scorsa, in quel di Pistoja, qualcuno abbia finalmente deciso di dare a quei signorini qualche graffietto (miao!); ovviamente, quei fùlgidi ribelli hanno immediatamente invocato mamma Polizia e nonna Repressione, non senza che tre ragazzi siano stati immediatamente arrestati (ma gli assassini di Fausto e Iaio girano ignoti dal 18 marzo 1978, quelli di Valerio Verbano dal 22 febbraio 1980 e così via). Mi fermo qui, perché il post linkato parla in modo più che compiuto dell'essenza di questi bischerelli da tre soldi bucati, del loro marketing e della loro più abissale inconsistenza. Inconsistenza che, però, ogni tanto ha bisogno di una pettinatina, tanto per far capire che c'è ancora gente che non accetta passivamente le loro stronzate razziste e xenofobe.

Ora, come dire, mi immagino questi ragazzotti che, nella maggior parte dei casi, non saprebbero nemmeno commentare adeguatamente La vispa Teresa, alle prese con l'impervio autore cui vorrebbero ispirarsi. Avendo a suo tempo, in una delle mie sette vite, affrontato coscienziosamente la lettura di quei componimenti (in quanto pur io, da gatta, riconosco l'assoluta universalità della cultura), ho rischiato di morire tra convulsi miagolìi provocati dal ridere figurandomi un qualsiasi casapaundino impegnato nella lettura del "suo" Pàunde. Due o tre versi che fanno al caso, un paio di slogan lasciati andare, l'eccelsa poesia dedicata alla X Mas di Junio Valerio Borghese e il giochino è bell'e costruito; ed anche con il sospettaccio che se quelli della X Mas, quelli veri dico, si fossero trovati davanti questi poveracci che appena vengono un pochino bacchiolati non trovan di meglio che andare a lagnarsi dai questurini, li avrebbero immediatamente spediti a coltivare l'orto.

Ma poiché sono una gattaccia servizievole, ho pensato anche di fornire a costoro un servizio. Non che voglia spiegare loro la poesia di Pound, ché gliel'ha spiegata assai meglio Bruno Fanciullacci (fra gattacci e fanciullacci c'è sempre stato un bel feeling, come potete immaginare); intendo semplicemente mettere a loro disposizione un Ezz Rapàunde adatto alle loro capacità, con un paio di poesie inedite del loro autore preferito. Auguro loro buona lettura tra una seduta di querele e lài presso la Questura e l'altra, così per ingannare il tempo; e intanto mi auguro che i tre ragazzi arrestati a Pistoja abbiano a essere liberati al più presto.

POESIA N° 1 DI EZZ RAPAUNDE
"Pisa Vituperio"

All'invasione mi sequestrarono
i libri di Bertran de Born
e quelli di Bernard de Ventadorn
e me li bruciarono nel forn.

Mi fecero fà due o tre giri per la città
nei quartieri popolari, ar Cisanello
e anco a Boccadarno e a Calambrone
ove un anziano comunista mi prese

A pattonate ner muso, mentre
recitavo Arnaldo Daniello.

Ner muso, mentre declamavo
versi in provenzale antico
e un sergente del North Carolàina
mi diceva che ci avevo la mamma
un po' puttàina.

Consolato dal 42° canto dell'Inferno
(ne avevo aggiunti io qualcuno, sacripante,
a quelli di Dante)
e dalla letteratura di Jaufré Rudel del Blaia
mi portarono a Cenaia
dove mi misero a pigià l'uva.

M'aspettavano anni di gattabuia,
mi consolai avendo una visione:
con un ideogramma cinese e dodici hai-kai
alfine pensai
che perlomeno avrei rimangiato quei troiai
che colan unto e grassi e ti riducono
il fegato a un pappino;
non l'avevo mai detto a nessuno
ma mi mancavano un casino.

No!
Non ne potevo più di spaghetti al sugo,
di pesce arrosto e minestrone!
E traducendo poesie dell'epoca dei Ming
sognavo sempre un succulento Burger King.

Ma l'anima del Miglior Fabbro mi sovvenne,
tan m'abellis vostre cortés deman
qu'ieu no me puesc ni vulh a vos cobrir:
fu tutta colpa di Pisa!
Pisa vituperio!

(Ché se magari ero andato a Grosseto
oppure a Montaione, o a Collesalvetti
non m'avrebbero arrestato
e a quest'ora, sì, avrei rinunciato al polpettone
e avrei continuato a mangiare spaghetti,
ma libero!)

E invece ora mi portano in galera,
mi bruciano i libri di Bertran de Born
e le poesie di Bernard de Ventadorn
nel forn
e la mia fidanzata di San Quirico d'Orcia
mi fa, forse, le corn.

POESIA N° 2 DI EZZ RAPAUNDE
"Cambio casa"

Per favore, no!
Piuttosto vo a stare
in un furgone
in un casermone
in un androne
su uno scoglio a Talamone
all'Elba in cima al monte Perone
all'addiaccio in un barcone

Piuttosto mi trasferisco
l'otto ottobre del '63 a Longarone
a Prato dentro un capannone
in cantina del deposito di Paperone
vo a far l'uomo cannone
alla deriva su un pallone
o in un catòio a Caltagirone
ma no!
Ve ne prego,
Vi scongiuro,
Vi imploro,
di non mettermi insieme allo Iannone!