mercoledì 24 novembre 2010

Cenni di ripresa


Qualche tempo fa, il mio amico Sussi, sul suo blog Asociale, si augurava che Prào chiudesse. Augurio in massima parte soddisfatto, dato che Prào, dopo aver chiuso scientificamente qualsiasi cosa che rassomigliasse ad un minimo di raziocinio e dopo aver lasciato campo libero a tutte le sue cose peggiori (del resto già ampiamente latenti), nel giugno del 2009 ha pensato bene di consegnarsi nelle mani di una gang di seguaci di un noto puttaniere e di razzisti da quattro soldi in camicia verde; il tutto, naturalmente, con il miraggio del cambiamento e di voltare pagina. Il solito mischmasch di degrado, sihurezza, icinesieciannorovinàho, imprenditorialità, oraesiripàrte, praoapraèsi, insegneinitagliàno eccetera.

I risultati li abbiamo sotto mano e sotto gli occhi. Il fumo negli occhi di qualche inutile retàha (ovviamente strombazzatissima dalla Nazione), du' o tre insegne in cinese ricoperte, una città dove scorrazzano liberi fascisti e fascistelli, il solito puttanaio, il degrado sì ma della coscienza civile, la carogneria assurta a modus operandi e un tessuto economico sempre più obsoleto, superato, destinato al fallimento per inconsistenza, miopia e grama boria. Tempo fa, il ministro Maroni parlava del modello Prato; e se questo è il modello, s'ha a andà di nulla. Per sottolineare tutto questo bisognava solo avere la pazienza d'aspettare un po' la ciliegina; la quale s'è venuta a ciliegiare ben bene in questi giorni.

Dopo 63 anni di dominio della sinistra (e che fulgida e immensa sinistra, va detto!), Prào s'era finalmente data i' sindaho 'mprenditore. Oh, pòle forse Prào esse' 'nferiore al paese che la circonda? E che imprenditore: nientepopodimeno che il presidente degli industriali praèsi, nonchè padrone (ma ora non si dice più "padrone": si dice azionista di riferimento) della Sasch, azienda lìde' n'i' campo del nulla, stracci da due soldi però col marchio prestigioso, la sponsorizzazione di Missitàglia, il Saschall, e sàsce di qui e sàsce di là. Il successo meid in Prào (però, sulle pubblicità, c'era sempre scritto "Sasch - Firenze"; sarà mica che il nome di Prato non è considerato tanto attraente nemmeno da un pratese?). Ecco, in questi giorni la Sasch del sindaco Cenni sta miseramente fallendo. 395 posti di lavoro a rischio, e a rischio non per i cinesi, ma per una crisi terrificante che gli amichetti e amiconi di Cenni e dei boyscout della sua giunta non hanno saputo minimamente affrontare, preferendo ingannare, coprirla e attribuirla a dei capri espiatori fomentando razzismo, intolleranza e carogneria (come si è visto bene nel caso delle tre donne cinesi annegate nel sottopasso.)

Cessazione dell'attività. Liquidazione dell'azienda. E non sono cose che accadono da un momento all'altro. Viene quasi da pensare che l'imprenditore di successo si sia voluto mettere al sicuro trovandosi un bel posticino pubblico da sindaco, dove rifugiarsi quando le acque si sarebbero fatte agitate. Un imbroglio in piena regola, consumato con le consuete armi dell'ignoranza, della propaganda, dei media servili; e così Prào continua inesorabilmente a chiudere. Senza finti "cortei", senza geremiadi televisive, senza bandieroni chilometrici e, probabilmente, anche nella crassa indifferenza dei pratesi; tanto 'e un tocca miha a méne. La Nazione che seguita a strombazzare, le aziende che continuano a chiudere come pere marce che cascano a terra, un rapporto con la comunità cinese che oramai è al limite del conflitto e nessun futuro. E, in questo, Prato è sicuramente un modello, o un paradigma. È il modello dell'insipienza, della superbia e del pressappochismo che attanaglia tutta l'Italia. E intanto guardiamoci, sì, questi bei Cenni di ripresa. Di ripresa sì: nel culo.

domenica 21 novembre 2010

Di muri, questurini e croci cèrtihe


Sembra che i solerti tutoridellòrdine abbiano finalmente realizzato un colpo da maestro contro i' ddegrado e pe' la sihurezza. Hanno fermato, così come si evince da un articolo di "Repubblica", due pericolosissimi diciassettenni (magari scampati alle denunce dell' "ex sessantottino" Primerano) che stavano un po' modificando una delle migliaia di scritte sui muri con cui Casaggì, altresì detta Casaquesturì, ha in tutti questi anni imbrattato impunemente tutta quanta la città senza mai ricevere nemmeno un buffetto. Logico che sia: questi fulgidi ribelli non conformi, straprotetti e sempre pronti a frignare come poppanti ogni qual volta sono stati ricondotti al loro naturale ridicolo di bugiardi infami, non hanno altro appiglio in questa città che la compiacenza di certe alte sfere. Privi come sono di qualsiasi incidenza sulla cittadinanza, neppure sulla componente giovanile borghese che sarebbe il loro presunto "bacino di utenza", si barcamenano tra le risibili contraddizioni di un "ribellismo" da avanspettacolo di bassa lega ed un servilismo padronale a tutto tondo che rappresenta in fondo la loro essenza più autentica. Il tutto, si badi bene, tra l'indifferenza generalizzata; l'unico riscontro che hanno sono i balocchi che l'antagonismo vero e proprio esegue su di loro, come divertissement per metterli alla costante berlina cui del resto si premurano quotidianamente di mettersi essi stessi, con le loro manine buone al massimo per seghe abortite.

C'è però una cosa che vorrei dire ai due diciassettenni malauguratamente incappati nei rigori della DIGOS. Ma quale "fuoco a Casaggì", ragazzi. Se proprio dovete farvi fermare dai signori di via Duca d'Aosta, fatelo per qualcosa di più degno e conseguente. Ammettendo e non concedendo che desideriate dar fuoco a qualcosa, concentratevi su qualcosa di esistente: che so io, un cumulo di foglie secche o un bel caminetto. Queste sono cose vere, cui si può dare fuoco certi di vedere delle fiamme. A "Casaggì" non si può dare assolutamente fuoco, per il semplicissimo motivo che non c'è. Ma che vi siete accorti percaso che in via Maruffi, ora, c'è un normalissimo palazzotto (presumibilmente ripulito e disinfettato) e che i ribelli del Bocciaside non si sa nemmeno più dove siano? Mandano avanti il loro insignificante blogghettone, contano su un paio di scaldapoltrone che nessuno caca nemmeno di striscio e, per il resto, vuoto assoluto. "Casaggì" è fallita. La sua "azione" è consistita principalmente in due o tre sparute fiaccolatine di 200 metri lungo il Mugnone, alle quali hanno preso parte 100 grullerelli e 400 poliziotti in assetto antisommossa, e nell'impestare di croci cèrtihe ogni centimetro quadrato di questa città senza che la DIGOS si sia mai scomodata (e ci mancherebbe!). Fine della trasmissione. Ora come ora mi sa che stiano esaurendo anche le scorte di vernice: Casaggì è soltanto un nudo nome, e non ha nessunissima valenza sociale e politica. Strepiti e frigni in nome di un lurido puttaniere; almeno fosse in nome del fascismo. Cari ragazzi, se volete fare antifascismo rivolgetevi altrove. Andare a "modificare" le scritte di Casaquesturì rischiando di incorrere in rischi inutili non serve a niente; a quelle scritte ci penserà il Signor Tempo, dilavandole e riducendole a supporti per le cacate dei piccioni. Il fascismo abita altrove, e non è nemmeno detto che si serva di simboli abusati. Potrebbe anche essere in luoghi impensati, che solo una costante attenzione alle dinamiche sociali ed economiche rivela. "Casaggì" lasciatela perdere: è morta, sepolta, dimenticata.

mercoledì 17 novembre 2010

Pampelba / Παμπέλβα


Poiché il mio amico Sussi è stato per un paio di giorni nella "sua" isola d'Elba e ha scattato qualche foto, in bianco e nero e a colori, mi ha pregata di ospitarle qui dato che il suo blog Asociale è in questi giorni impegnatissimo con certi saggi sulle chiese e sui fascismi. Gli ho risposto che l'avrei fatto più che volentieri, a condizione che il posto d'onore fosse dato a questo meraviglioso compagno di pelo elbano ritratto a Marciana Marina, in "via Ervino Pocar traduttore". Seguono le altre foto che, assecondando il desiderio del loro autore, sono corredate da assai scarne indicazioni. Il titolo del post essendo stato lasciato a mia discrezione, ho deciso per rinverdire una vecchia fissazione isolana: quella di aggiungere "Elba" come suffisso a qualsiasi cosa la riguardasse. Così, ad esempio, una vecchia bibita prodotta in loco si chiamava "Spumelba". Da qui il "Pampelba", che beninteso suona parecchio bene! NB: Tutte le foto sono state scattate il 16 novembre 2010; cliccatele per ingrandirle. Sussi mi ha detto di averle scattate con il preciso intento di considerare l'Elba come un'isola greca; e la cosa fa particolare piacere anche alla sottoscritta, che ha aggiunto la traduzione delle scarne indicazioni in lingua greca.


Seccheto. Spiaggia, scirocco.
Σεγκέτο. Αμμουδιά, σιρόκος.

Fetovaia. Arrivederci.
Φετοβάγια. Εις το επανιδείν.

Ancora Fetovaia. Nessuno.
Φετοβάγια, ακόμη. Κανείς.

Fetovaia. Ensamhet.
Φετοβάγια. Μοναξιά.

Pomonte. Mandarini e 'a Corsica surella.
Πομόντε. Μανταρίνια και η Κόρσικα η αδελφή.

Pomonte. Il monte dietro (Post montem). Scirocco forte.
Πομόντε. Το πίσω βουνό (Post montem). Ισχυρός σιρόκος.

Pomonte. Capre libere.
Πομόντε. Ελεύθερες κατσίκες.

Chiessi.
Γκιέσσι.

Marciana. La cabinovia del Capanne.
Μαρτσιάνα. Το τελεφερίκ του Καπάννε.

Portoferraio. Lapide all'anarchico Pietro Gori.
Πορτοφερράιο. Επιτάφια πλάκα του αναρχιστή Πιέτρο Γκόρι.

Portoferraio. Piazza Pietro Gori.
Πορτοφερράιο. Πλατεία Πιέτρο Γκόρι.

Case di Portoferraio. Vento, luce.
Σπίτια στο Πορτοφερράιο. 'Ανεμος, φως.

Colori.
Χρώματα.

Portoferraio. Fuoco di luce.
Πορτοφερράιο. Φωτιά από φως.

Marina di Campo. Anatre sul molo.
Μαρίνα ντι Κάμπο. Πάπιες στο μόλο.

Marina di Campo. Le Scalinate.
Μαρίνα ντι Κάμπο. Σκαλινάτε.

Marina di Campo. Chiesa di San Gaetano.
Μαρίνα ντι Κάμπο. Εκκλησία 'Αγιου Καïετάνου.

Marina di Campo. Le Case Nuove.
Μαρίνα ντι Κάμπο. Οι Νέοι Οίκοι.

Marina di Campo. Piazzetta Teseo Tesei.
Μαρίνα ντι Κάμπο. Πλατεία Τεζέο Τεζέι.












giovedì 4 novembre 2010

Pampalea sta con Cassano


No, ehm, forse non ci siamo capiti. Vabbè che in questo paese ne accadono di tutti i colori, ma ancora un calciatore che ha una liaison con una gatta nera non s'è proprio visto; insomma, volevo soltanto dire che, nella querelle tra Antonio Cassano e il presidente della Sandoria, il petroliere & banchiere Riccardo Garrone, io sono, e decisamente, dalla parte di Cassano. Come Paolo Villaggio, del resto; e non me ne stupisco. Villaggio ama i gatti, e quindi ama anche Cassano. Non c'è versi. Chi ama i gatti, graffia, ha inventato il dottor Kranz, ha scritto Carlo Martello assieme a De André e gira per i tetti delle città non può stare proprio dalla parte di un vecchio paperone permaloso. Sta dalla parte del genio e della fantasia, ed anche di chi si è ribellato al padre-padrone.

Ora, poiché questo paese di vegliardi bavosi ultimamente fa uno schifo inenarrabile anche nel pallone, uno come Cassano bisognerebbe tenerselo caro. Come un ultimo baluardo. Non bisognerebbe parlare di cassanate, ma del grigiore tecnico e umano che i pedatori italiani hanno in abbondanza. Si parla delle cassanate, e non delle fascistate dei Buffon, degli Abbiati e di tanti altri. Oltretutto, dopo avergli finalmente concesso la patente di "testa a posto" con tanto di giovane moglie e bambino in arrivo, il padre-padrone gli va a rompere i coglioni a casa, con la moglie che ha una gravidanza difficile, per andare a ritirare ciò che Cassano ha giustamente chiamato un premio di merda. D'accordo, prende i miliardi. D'accordo, con quel che guadagna Cassano in un giorno ci camperebbero per mesi diverse persone. D'accordo, non è Maradona; ma è grazie ai Maradona, e un po' anche ai Cassano, che questo "sport" ancora non è del tutto morto. Per questo vogliono toglierli di mezzo.

E ha fatto benissimo, Cassano, ad essere un essere umano a tutto tondo. Un giovane che vuole restare accanto alla moglie che non sta bene. Ha fatto benissimo a mandare in culo il padre-padrone, al di là dei contratti. E il padre-padrone petrolierbanchiere, naturalmente, gliela ha fatta pagare; come nelle vecchie famiglie dove il patriarca cacciava di casa il figlio degenere, per poi magari andare a biascicare ostie in chiesa sulla parabola del figliol prodigo. Bene che quel vecchio di merda se ne sia sentite dire quattro sul muso. Fuori rosa? Ne troverà mille di altre squadre, Cassano. Anche se, personalmente, spero che torni a giocare nella sua Bari. Con sua moglie e suo figlio. E con le sue giocate che a volte fanno alzare in piedi. Chi fa alzare in piedi, attualmente?

La cosa singolare, ma non troppo, è che a Genova intervistano la gente, quelli che fino al giorno prima lo applaudivano spellandosi le mani, e che ora lo ha già rimosso. Il giornalista va dagli operai immigrati albanesi tifosi della Sandoria, e questi danno ragione al padrone. Uno dice: "Se io offendo il mio padrone, questo giustamente mi caccia via". Ha imparato alla svelta, l'albanese operaio, a uniformarsi alla schiavitù. Magari non gli passa nemmeno per la testa, mentre fa quell'ardito paragone, che il padrone potrebbe essere offeso perché ti fa lavorare dodici ore al giorno su un'impalcatura per una miseria. Perché ti tratta come una merda da profitto. Oppure anche perché ci hai una moglie o un figlio che stanno male, e ti tocca andare a fare lo straordinario al sabato o di notte. Cassano, certo, non è un operaio. Ma non è neanche una macchinetta da sfruttare per i premi idioti, e per i capricci o gli impegni presi dal sor padrone. A suo onore, non l'ho mai visto comparire in una pubblicità; ma forse è perché lui fa le cassanate e manda in culo i presidenti.

E così, anche i suoi tifosi, massa di schiavi massificati, gli hanno voltato le spalle. Già magari si augurano che faccia una brutta fine; e, del resto, una brutta fine la hanno fatta spesso proprio coloro che hanno fatto del calcio una magia immortale. Gli irregolari. George Best. Garrincha. Gigi Meroni. Quelli che non ci sono stati. Quelli che hanno urlato sulle scale. I tifosi della Sandoria, in questo momento, mi fanno decisamente schifo. A parte Paolo Villaggio. E forse lo avrebbe difeso e capito anche il genoano De André, così come lo capisce e lo difende una gatta nera di fede Viola, peraltro ben cosciente che i tifosi della sua squadra sono ora tra i più incommensurabilmente imbecilli che si possano immaginare. Anche perché qualcuno dovrebbe andare a dire al dottor Garrone Riccardo, assicurandosi che prima si sia incollato bene la dentiera, che alla fin fine tutti si ricorderanno di Cassano Antonio da Bari Vecchia, e non di lui.