domenica 8 maggio 2011

L'attesa è terminata


Dal 1908, una famosa poesia di Konstandinos Kavafis ci ammorba la vita. Si chiama Περιμένοντας τους βαρβάρους in lingua originale, e qui la trovate in italiano nella classica traduzione di un defunto e valente ellenista, Filippo Maria Pontani, che però, nella pagina linkata, è stato messo in bicicletta e trasformato in "Pantani". Nulla di cui indignarsi; da che mondo è mondo, i ciclisti sono più popolari dei grecisti e non credo che ci sia nulla da fare al riguardo. Il nuovo, poi, caccia sempre via l'antico. Quando abitavo a Livorno assieme all'amico Sussi, mi ricordo che una via (vicino al porto) intitolata allo statista Vittorio Emanuele Orlando veniva comunemente chiamata "via Silvio Orlando", con buona pace del bravo attore che, essendo ancora vivo e vegeto, forse si sarebbe toccato un po' le parti intime se lo avesse saputo.

Dicevo però che la poesia di Kavafis ci ammorba la vita. Non è, poveraccia, colpa sua; anzi, è una poesia assolutamente splendida, uno dei capolavori in lingua neoellenica (anche se il greco di Kavafis, alessandrino, è assai particolare). Il problema sono i suoi citatori, perché è diventata una sorta di passepartout utilizzato da chiunque quando intende dire qualcosa di "intelligente"; e, allora, si va da Vittorio Sgarbi in televisione agli impiegati statali anarchici, da Gigi Marzullo all'articolista di Vanity Fair, dal blogger fustigatore al professore che fa il predicozzo in classe. In linea di massima, credo che sia seconda, quanto a citazioni, solo alla mortifera If di Rudyard Kipling, bel tomo di colonialista che intendeva pure dare le lezioni di vita.

Che cosa dice, però, questa famosa poesia kavafiana? In estrema sintesi: l'Impero sta per crollare e i barbari sono alle porte. Tutti li stanno aspettando al tempo stesso trepidanti e indolenti, in pompa magna: perché i senatori dovrebbero legiferare, quando fra poco lo faranno i barbari? E l'Imperatore perché dovrebbe darsi pena di resistere, come esigerebbe la sua altissima dignità? Anzi, ha già preparato pergamene e titoli da offrire ai barbari. E i retori, perché dovrebbero esercitare la loro arte (quella che Ambrose Bierce, nel Dizionario del Diavolo, definì "Congiura tra pensiero e azione ai danni delle facoltà intellettive, una forma di tirannide in parte temperata dalla stenografia") quando si sa benissimo che i barbari, dato che sono barbari, la sdegnano come inutile? Ma passano le ore, e i barbari giocano un tiro mancino: non arrivano affatto. Se la vedano i civili, i rappresentanti della superiore cultura, e affoghino nella loro merda; facciano senza di loro. Perché i barbari sono sempre una soluzione; servono a sentirsi più elevati quando fa comodo, servono sovente da carne da macello, e quando una civiltà si spegne si trasformano però in estremo soccorso. Per questo ho sempre rifiutato categoricamente l'espressione invasioni barbariche, anche se adesso si preferisce dire islamiche a cura di servi che, oltretutto, non hanno neppure la ieraticità (seppur vuota, esteriore) degli antichi senatori o di un Imperatore.

Ma, come si vede dalla foto in alto, scattata oggi pomeriggio in una piazza di Firenze, l'attesa sembra essere terminata. Non solo. Ai barbari, finalmente, viene riconosciuta un'estetica (L'estetica barbara, giustappunto). È un passo importante che viene finalmente sancito; e non mi si venga a dire che si tratta di un semplice centro benessere, beauty farm o come oggi si chiamano queste cose in una lingua assolutamente barbarica. Nell'insegna, "barbara" è infatti scritto con l'iniziale minuscola e si tratta quindi di un normale aggettivo qualficativo al femminile singolare; se si fosse trattato della signora o signorina titolare del negozio, le regole del nostro superiore idioma, faro di civiltà e di bellezza, avrebbero imposto l'iniziale maiuscola. Oltre il bandone chiuso per la festività domenicale, quindi, si sta elaborando un'estetica che tenga conto dei barbari, infine arrivati; e che, contrariamente a quanto scritto da Kavafis, i barbari si occuperanno eccome di fare le leggi, di stabilire nuovi princìpi, e in pratica di dare l'avvio ad una nuova civiltà. Com'è sempre accaduto, dato che nessuna civiltà è pura bensì il frutto di commistioni. È un processo ineluttabile. Si verrà a creare, ovviamente, anche una nuova estetica; i barbari apprenderanno dell'esistenza di Baumgarten, di Diderot, di Plotino e di Kant e provvederanno a shakerare il tutto con il loro pensiero; perché un pensiero, sembra incredibile ma è così, lo hanno pure loro. A volte sanno persino già meglio di noi chi fossero Diderot, Plotino e Kant, mentre la nostra civiltà immortalmente morente preferisce sapere chi siano Pato, Gilardino e Pazzini.

Ben venga, l'estetica barbara. Probabilmente, uno di questi giorni, quando vedrò il bandone alzato, andrò a dare un'occhiata là dentro. Già mi pregusto un laboratorio di pensiero, uno scriptorium instancabile, e una babele di idiomi sconosciuti e bellissimi al posto di quello di Pippa Middleton. Non accetto altre ipotesi; che non mi si prospetti l'idea di vedere signore intente a farsi imbellettare secondo canoni estetici ripresi da qualche rotocalco, oppure una titolare talmente stolta da aver dato un nome del genere ad un negozio dove si dovrebbe appiccicare patine di bellezza a volti distrutti dalla schiavitù del quotidiano sgobbo.