Da brava gatta nera, con gl'inferi ho un rapporto speciale; solo che, i miei, sono inferi autentici. Sono tenebre DOC, satanassi certificati e garantiti, ghiacce distese di desolazione, antri dove occhi fiammeggianti baluginano maledizioni alle anime dannate. Insomma, come dire, gli inferi sono e dovrebbero essere una cosa tremendamente seria. Negli inferi della Nazione, invece, allignano fiori come quello nella foto, su cancellate qualsiasi. Ma, certo, sarà necessario andare un po' per ordine.
Non è che, nonostante la mia lunghissima assenza di miagolate e soffiate, me ne sia stata poi poi sempre a dormire; qualche giratina l'ho fatta. Così, ad esempio, alla fine dello scorso mese d'agosto. Mi sono insediata da un po' in un quartiere periferico che sembra fatto a misura di gatto: ricchissimo di giardini, di verde, di alberi e d'ogni altra sorte di bendiddìo. Eppure, nel medesimo mese d'agosto, la Nazione ha provato a trasformarlo in inferi a suo uso e consumo, partendo da un episodio assolutamente spiacevole e stupido avvenuto proprio in questo quartiere. Una banda di giovanissimi umani che, per noia e per chissà cos'altro, ha torturato e massacrato un riccio, ovvero un porcospino. Da lì è partita la presentazione di questo quartiere come se fosse, appunto, l'inferno: e giù le consuete, massicce, debordanti dosi di paura e degrado. As usual, dicono i miei compagni di pelo d'Oltremanica.
Vorrei essere chiarissima. Non avrò mai abbastanza parole contro quei disgraziati che hanno riservato un trattamento del genere ad un essere vivente; anche perché niente mi vieta di pensare che non sarebbero pronti a fare lo stesso anche con un gatto (ma, a differenza dei poveri ricci, noialtri gatti sappiamo come vendere cara la pelle, e soprattutto come scappare in posti nei quali o sui quali nessuno ci può raggiungere). Però vorrei anche dire che alla Nazione, e dovrebbe essere un concetto elementare, non importa assolutamente niente né del riccio, né degli stronzetti annoiati che lo hanno massacrato. Alla Nazione importa soltanto propinare la sua quotidiana dose di terrore, coi suoi finti reportages, i suoi "testimoni" inesistenti, le sue baggianate. Le importa solo di creare il clima giusto per poter richiedere polizie, soldati, telecamere, oppressione. Le importa solo assecondare e fomentare la paura, con ogni mezzo. Anche servendosi di un povero porcospino, data la penuria agostana di polveriere, quadrilateri del terrore e turiste canadesi travolte dagli immigrati in fuga. Se ne serve come si serve dell'immigrato e di qualsiasi altra cosa, quel fogliaccio terrorista nel significato più letterale del termine.
E così me ne sono andata anch'io, in compagnia di uno dei miei due amici, della sua compagna e di un'altra amica di cui avrò occasione di parlare, a fare un reportage a modo mio per quest'inferno metropolitano. Al tramonto di una caldissima giornata, passeggiando e saltellando. E che cosa ho visto?
Stradine mezze dimenticate, piene di giardini. In uno di essi, una partita di pallone in corso tra ragazzini. Se ne vedevano di tutti i colori, ma non di azioni di gioco o di goal: se ne vedevano di tutti i colori proprio di ragazzini. In porta uno scurissimo con la maglia di Frey; all'attacco un solo un po' meno scuro, con la maglia di Gilardino; altri avevano maglie improvvisati e un paio non le avevano proprio. Gialli, neri, rossi, bianchi; un caleidoscopio. E siccome sono piuttosto brava nelle lingue degli umani, mi sono accorta che parlavano tutti nella lingua del posto, con tutte le "c" e le "t" aspirate al loro giusto posto (cosa che ai non locali non riesce assolutamente mai). Tranquilli, vocianti, e direi addirittura felici a godersi gli ultimi giorni di vacanze. Manco un genitore nelle vicinanze; eppure, in un inferno del genere, mi sarei aspettata guardie armate, cavalli di Frisia, fuoco e mitragliatrici. Tanto più che la Nazione ha puntato il dito contro le babygang. Come fossimo a Chicago o a Detroit. Quanto pagherebbero per una banda giovanile di quelle vere, quei signori là. Per vendere due copie e nutrire il loro sporco bisogno di paura, sarebbero pronti ad assoldarne una. Invece cosa c'era qui? Una banda di ragazzini che giocavano al pallone, perdipiù senza nessun pensionato che li prendeva a fucilate.
Poco oltre, su un muretto tra due palazzoni, una scritta su un muro mi ha fatta riflettere. È quella che vedete qui sopra. L'ironia o la maestria dalle natura ha fatto sì che, proprio in corrispondenza del disegno delle foglie di canapa, siano cresciute delle piantine, assolutamente libere ma in perfetta simmetria con il disegno in questione. Sembra quasi che le foglie disegnate spuntino dalle piante vere. Ah già, dimenticavo: qui siamo negli inferi. Negli inferi si vorrebbe pure la canapa libera, cosa che spiacerebbe senz'altro alla Nazione e magari anche a quel caro consigliere comunale, come si chiama luilì, ah sì, il Donzellon Donzellão, che va a fare le concioni davanti e dentro ai negozi dove onesti lavoratori smerciano oggetti in canapa rimediandone, sanamente e fortunatamente, elevate dosi di ciaffate nel muso, pattonate ne' denti e pedate ne' malleoli. La differenza è questa: qui agli inferi ci sono ragazzini che fanno la scritta sul muro e magari si fanno anche qualche canna sulle panchine, senza minimamente rompere i coglioni al prossimo. Nei posti che garbano tanto alla Nazione, invece, ci si strafà di cocaina. Dico che alla Nazione certi posti garbano, perché di quella bella piazzetta col palazzo antico e i localini trendy non ne parla mai come degradata; il degrado è tra i giardinetti di periferia o in certe zone del centro dove ci sono gli abusivi. Ma siccome il centro sta troppo stretto, a quei signori, ora ci provano anche con altre parti della città.
E così, immersa in questi pensieri assolutamente infernali, ho continuato tranquilla il mio giro per gli angoli più riposti di questo quartiere. Come quello che vedete qui sopra; è, pensate un po', il giardino della canonica di una chiesa. Non si sente volare una mosca, ed è già quasi buio. Bisognerebbe, ci dicono, cominciare ad avere paura. Ad avere sudori freddi. A desiderare di tornare a casa, rinchiudersi dentro, accendere le scatolette colorate, serrare le porte blindate; mentre i giardini diventano preda di bande sanguinarie che, sempre come scrive la Nazione, addirittura farebbero gli "esami" al malcapitato viandante, provocandolo per vedere la sua reazione ed eventualmente aggredirlo. In posti dove sono andata tranquilla, durante le mie scorribande feline, anche alle tre di notte senza che nessuno mi abbia "esaminata". E ci tornerò anche! Ma verrà il giorno che, col favore delle tenebre, mi farò una passeggiata un po' più lunga, e andrò a depositare un'odorosissima pisciatina sulla porta d'ingresso di quel giornale orribile. Parola di Pampalea.
Nel frattempo, se incontro quei ragazzi che hanno fatto quelle cose al riccio, cercherò magari di fare una cosa che nessuno ha mai fatto con loro: stare ad ascoltarli. Magari dopo un paio di graffi ben assestati. Chissà che non abbiano qualcosa da dire anche loro, invece di essere segnati a dito per delle manovre che, a lungo andare, faranno fare a tutti quanti una fine ben peggiore di quella di quel povero animale. E, nel frattempo, uscite tutti. A vivere ventiquattr'ore su ventiquattro. Tutti fuori. Liberi tutti, in questo quartiere che ospita anche una galera. Liberi come un fiore, come dei ragazzini che giocano e, perché no, anche come la canapa.