sabato 28 novembre 2009

Piccole, tenere, soavi, imbecilli idiozie quotidiane



Premessa.

In questa città, come in tutte le altre di questo paese, se ne vedono di tutti i colori quanto a parcheggi. Macchine e motorini sui parcheggi riservati ai disabili, doppie, triple e quadruple file, ogni sorta di inciviltà, manovre ai limiti del criminale. Poi c'è pure la famosa, o famigerata Questacittà Parcheggi, una specie di "società" che gestisce l'espropriazione del suolo pubblico con criteri decisamente fantasiosi, e con risultati che -come nel caso che vi sto grazïosamente miagolando adesso- fa ben percepire il ridicolo della cosiddetta cosa pubblica -specialmente quando è privatizzata in tutto o in parte.

Siamo in via Gusciana. Via Gusciana, nonostante l'antico nome, è una strada di recente costituzione, ricavata sul retro delle superstiti mura nella zona tra piazzale di Porta Romana e piazza Tortàsso Quato (l'autore della Gerusalàta Liberemme, ovviamente; a noialtri gatti ci garbano i calambùr). Durante una mia giratina, comportante anche una visita di cortesia a base di ronfate e leccornie presso gli amici di pelo della zona, mi sono imbattuta in questa autentica perla.

Via Gusciana, nonostante l'amena posizione e l'antico nome, ha fondamentalmente una sola funzione: quella di servire da costosissimo (e ben custodito, con tanto di cancelli) parcheggio a pagamento. È munita di uno striminzito marciapiede dove, come è facile immaginare, vengono sistemati abusivamente motorini, scuteroni, scuterini, biciclette ed altri mezzi consimilari: praticamente la normalità, insomma, Ma qui siamo in un parcheggio-mostra, e allora la Questacittà-Parcheggi ha deciso di intervenire per far rispettare la legalità.

Naturalmente, la legalità non conosce sentimentalismi: ignorata ovunque, ed in primis proprio da coloro che dovrebbero farla rispettare (come ad esempio i vigili urbani che passano col rosso e senza sirena, falciando e spedendo all'altro mondo ragazzine diciottenni con il pretesto di identificare una pericolosissima passeggiatrice ucraina), deve essere però inculcata ai bambini o alle bambine fra i 3 e i 5 anni che intralciano il traffico pedonale di via Gusciana con la loro enorme biciclettina di 40 cm. E stia attento il pargoletto contravventore: se non rimuove immediatamente la sua minuscola biciclettina, interviene l'autorità a rimuoverla. Se poi la stessa autorità permette a TIR interi di parcheggiare in quindicesima fila, di circolare a assurdi e asfissianti autobus di diciotto metri, di metterci due secoli a completare sei chilometri di tramvia oppure di bloccare mezza città per far dei rilievi di un insignificante incidentucolo stradale (come è avvenuto due giorni fa al mio amico Sussi in piazza Taddeo Gaddi: un'ora di coda perché i vigilantes se ne stavano a cazzeggiare con una rotella metrica), questo ovviamente non conta.

L'importante è che l'infante rimuova la sua biciclettina da Via Gusciana, con tanto di pomposo avviso e numero di telefono. L'autorità dev'essere inflessibile. Come inflessibile è l'idiozia che promana da queste semplicissime e piccole cose, un'idiozia che ci sta schiacciando.

Post Scriptum. Il medesimo marciapiede di Via Gusciana è occupato, per tutta la sua più che ragguardevole lunghezza, da un numero imprecisato di grossi bidoni per le cartacce, i quali avrebbero potuto benissimo essere sistemati dall'altro lato, quello del parcheggione di lusso. Ovviamente, tali bidoni ostruiscono il passaggio ben più non solo della biciclettina da bambini, ma anche degli altri mezzi a due ruote. Come dire: certi criteri sfuggono decisamente a noialtri gatti, e forse anche a qualche umano dotato di un minimo di raziocinio.

martedì 24 novembre 2009

Jan Palach e la sua via


Sarà forse per le nostre famose sette vite, ma noialtri gatti ci abbiamo quel viziaccio infame che si chiama memoria. Così, quando durante un giro notturno in periferia, mi sono accorta che l'amministrazione comunale di questa città ha dedicato una via a Jan Palach, lo studente praghese di filosofia (ma in realtà era nato a Všetaty) che, il 19 gennaio 1969, si dette fuoco sulla Václavské Namestí per protestare contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia e la conseguente repressione, mi sono posta alcune domande e, soprattutto, immaginata alcuni scenari.


Ma, innanzitutto, un po' di documentazione. Magari si potrebbe credere che mi sia inventata tutto, ed invece eccovi la targa stradale di via Jan Palach; o meglio, di via Iampàlacche, come presumibilmente ne pronunceranno il nome i pochi cittadini, gatti o umani, che si accorgeranno della sua esistenza. Come vedremo meglio in seguito.

Il primo scenario che m'è venuto a mente è la misera fine che il povero studente ha fatto. Il suo gesto ne ha fatto, attualmente, una specie di icona anticomunista ad uso e consumo, tra gli altri, dei peggiori cialtroni che popolano consigli e consiglietti comunali e di quartiere. E non vale ricordare che Jan Palach, comunque si voglia giudicare il suo gesto, non s'era dato fuoco perché dei buzzurri che pigliano quarantamila euro all'anno per non fare una sega dalla mattina alla sera si servissero del suo nome e della sua tragica vicenda per ottenere soddisfazione alle loro rivalse -peraltro ben servite loro dall'amministrazione di "sinistra", forse per dar loro un contentino a buon mercato.

Il secondo scenario è che, fondamentalmente, Jan Palach si è dato fuoco per poi ottenere i McDonald's nella piazza in cui ha compiuto quel gesto; la divisione del suo paese; il liberismo selvaggio; l'adesione alla NATO; la privatizzazione di ogni cosa; e, non ultimo, il cazzo ritto di Topolánek. Sono quindi relativamente certa che, se Jan Palach avesse potuto prevederlo, avrebbe posato la latta di benzina e se ne sarebbe andato a bere una bella birra e a vivere la sua vita di ventenne, anche sotto una dittatura. L'Ottantanove sarebbe arrivato lo stesso, e ci sarebbe stato un quarantenne in più e una canzone di Guccini in meno:



Soprattutto, ci sarebbe stata in meno questa meravigliosa via a lui dedicata. Una grazïosa, ben congegnata, irridente presa per il culo che, non ne dubito, non mancherà di far dire a Jan Palach, ovunque nell'universo si trovi ora: "Io quella strada lì? Oh, ma che vu' m'avehe preso pe' bischero?!? Ma dedicàhela alla maialaccia della vostra mamma!" (mi si scusi lo strettissimo accento praghese di Malá Strána). Guardate infatti, per compiacere ai Donzelli, ai Gandolfo, ai Calì, ai fòibi e alla parcondìcio, cosa hanno escogitato. Una specie di varco sotto un viadotto, in una delle zone più infami e desolate della città; talmente deserta e grama, che è evitata persino dalle puttane (che pure pullulano nella zona):


Insomma, di che chiamarla più a proposito Via della Desolazione, tanto per parafrasare Bob Dylan. Oppure, seguendo il criterio di dare ad una strada un nome che ricordi o metta in risalto qualche sua caratteristica, la si sarebbe potuta chiamare:


a) Via del Parcheggio De' Camion


b) Via della Roulotte Abbandonata


c) Via dell'Aiuola con le Erbacce altre un Metro e Mezzo
(qualcuna anche uno e settantacinque)

Insomma, come dire, bello scherzetto gli hanno giocato all'eroe della libertà contro i' barbaro comunismo tanto caro, e tanto sfruttacchiato, dai cameratucci cittadini. Chissà se ci hanno messo mai piede in questa amena stradina.

Con la speranza che una un po' migliore venga prima o poi dedicata dagli amministratori di questa città antifascista e medaglia d'oro per la Resistenza ad un ragazzo della stessa età di Jan Palach, ma che non ha ottenuto lo stesso (falso) successo mediatico, e nemmeno canzoni dal gran cantautore impegnato. E pensare che compì il suo stesso gesto, per protestare contro la dittatura fascista greca, in una piazza di Genova. Si chiamava Kostas Georgakis.





domenica 22 novembre 2009

Αὐτή ἡ πόλις, ὁ ἐν αὐτῇ κόσμος



Non che questa città, dove giro sempre con occhi attenti (cosa che riesce piuttosto bene a noialtri gatti), sia una specie di paradiso in terra; anche se, almeno a sentire certe testimonianze di miei carissime e carissime compagne e compagni di pelo, da altre parti se la passano decisamente peggio. Non che la quota di umani stronzi, luridi, stupidi, impresentabili, vuoti, inutili pezzi di merda, più o meno grossi, sia maggiore o minore che altrove; le percentuali saranno più o meno le stesse. Ma, qui, c'è qualcosa che sembra resistere. Non saprei nemmeno io dirvi in che cosa consista, esattamente; sarà forse perché, di notte (pòle una gatta non girar di notte?), continuo a vedere imperterrite ronde di gatti, e non di umani vestiti da idioti, con buzze impiegatizie e cervelli all'ammasso.

Poi capita che, durante un giretto pomeridiano in quel centro che, ancora, è toccato poco o punto dal turismo usa-e-getta, sul bianchissimo muro di una stradina che, pensate un po', si chiama Via dei Preti, si trovi una scritta come quella che vedete nelle fotografie. E, allora, qualche sospiro di sollievo in più lo si tira. Senza esagerare, ovviamente. Senza esagerare per niente. Anzi, come se solo il destino avesse messo un bel muro bianco a disposizione proprio in via dei Preti, un destino però almeno un po' coadiuvato dall'antica consuetudine alla beffa, allo sberleffo, alla battuta fulminante. Può darsi che quella scritta sia molto più dovuta a queste ultime cose, che ad un'anarchia (con tanto di "A" cerchiata) che, ad ogni modo, farebbe un gran bene a questo mondo.

Quanto alle scritte sui muri, io diffido delle città linde e pulite dove non se ne vede nemmeno una, e di tutte le amministrazioni che le cancellano, le multano e le puniscono in nome del cosiddetto decoro. Indecorosa è una città i cui abitanti non ricorrono ad ogni forma possibile di espressione. Indecorosa, e anche intimamente sporca. La sporcizia estrema della pulizia anodina, rassicurante, priva di ogni tipo di fantasia e di voglia di pigliare una bomboletta o un pennello, e mettercisi dentro per affermare qualcosa. Attenti alla pulizia e al decoro, perché sono soltanto una delle molteplici facce della repressione.

martedì 17 novembre 2009

Giovanni D'Arco, ovvero I' Donzello di Pennadomo



Su pe' i' viale Milton, Giovanni d'Arco
accendea le fiaccole barcollando,
dieci febbraio, mentre nella piazza
gli berciavan di tutto, a lui e al Torselli al suo fianco.

“Delle foibe sono stanco ormai,
a un pochino di topa tornerei,
a una qualche ninfomane o alla mia sposa in bianco
per nascondere questa mia propensione a' ceffoni ed al pianto.”

“Son parole, le tue, che volevo ascoltare,
Sennò icché tu m'hai sposata a fare,
sempre là a Casaggì tra quintali di beghe,
va a finire che poi io ti pianto, e ti sfai dalle seghe.”

"E chi sei tu?", lui disse, strinacchiandosi al fuoco
“Chi sei tu, il cui sguardo sì possente mi coglie?”
“O bischerooo...! 'E so' la tu' moglie!
E ora tu torni a casa, e tu mi fai anche da cuoco!”

“Sì, ti farò da cuoco, ma aspetta ancora un poco,
ciò da mètte' l'alloro alle foibe, 'iobecco!”
Lei, tacendo, prese un grosso stecco,
una fiaccola, e senza fiatare 'ni dette foco.

E nel profondo del suo cuore rovente
lui prese ad avvolgere Giovanni d'Arco
su i' viale Milton, là davanti alla gente
proprio come Maruffi, e Le Pen approvava dal palco.

E fu dal profondo del suo cuore rovente
che lui prese Giovanni e lo colpì nel segno
e lui capì chiaramente
che su' moglie era stufa, e che lui stava facendo il legno.

(Liberamente tratto da Giovanna d'Arco di Fabrizio De André,
a sua volta traduzione di Joan of Arc di Leonard Cohen)



Miao!

domenica 8 novembre 2009

Uì spic inglisc', ièsse, ovvero Di insegne che insegnano


Anche se si è in giro (anzi, stavolta è meglio dire in piazza) per tutt'altri motivi, noialtri gatti abbiamo sempre gli occhi attenti. In particolare, la sottoscritta nutre una smodata passione (condivisa dall'amico Sussi, quello lungo) per le insegne dei negozi scritte in lingue straniere, particolarmente in inglese.

Essendo questa una cosiddetta città d'arte visitata da milioni e milioni di turisti, che nel centro storico vi siano decine e decine di insegne redatte nella uòrd lènguegg' per attirare lo spennando forestiero può essere anche ben compreso; anche se, personalmente, comprendo un po' meno i due pesi e le due misure. Mi spiegherò meglio. Nella vicina città di Prato, recentemente, un'ordinanza comunale della giunta di centrodestra ha rigorosamente vietato ai commercianti cinesi di apporre ai propri esercizi insegne in lingua cinese, che non sarà la lingua del mondo ma è comunque, per numero di parlanti, la prima in tutto il pianeta. Così facendo, la giunta pratese dà finalmente il suo fattivo contributo alla restaurazione dell'italianità (salutata con grida di giubilo dalla Nazione, come dubitarne!) e, soprattutto, alla soluzione della tremenda crisi che attanaglia Prato. Tremenda crisi che, va detto, con lo storico cambio di giunta sembra come per magia oramai acqua passata; somiglia molto alla spazzatura napoletana. Niente più manifestazioni con tricolori chilometrici, niente più chiusure, niente più niente. Basta mettere a posto quei maledetti cinesi, e la crisi, -puff!- passa all'istante. A partire dalle insegne nella lingua nazionale che deve avere la prevalenza.


In questa città, invece, guai a togliere le insegne in inglese. Sarebbe impensabile. Il turismo, ancorché disordinato, ancorché vera causa di degrado, ancorché fattore decisivio nella distruzione dello storico tessuto commerciale del centro, non può essere toccato. E non si invochino differenze di sorta: anche qui, se le scritte nel centro fossero in cinese, in wolof o in urdu, qualche assessore di sinistra avrebbe già bell'e emesso l'ordinanziella di divieto. Ma siccome sono in inglisc', va tutto bene. Ben vengano anche quelle in giapponese, in tedesco o persino in latino, che fa tanto figo e poi ci ricorda le nostre radici cristiane; ma guai se fossero in rumeno o in arabo. Quelle sono le lingue degli invasori, di coloro che attentano alla nostra civiltà; e poco importa se, in questa città, la vera invasione è condotta a ritmi disneylandiani da orde di comitive, di pizzattaglio, di paccottiglia legalizzata.

Ma so bene, da gatta per natura saggia, che queste mie considerazioni sono una battaglia persa in partenza. E allora non mi resta che divertirmi un po'. Insomma, se proprio queste insegne in inglese ci devono essere senza che nessuno affermi patriotticamente che l'italiano deve avere la prevalenza, almeno che siano corrette. E, invece, guardate un po' la foto che apre questo post. Sembra quasi di sentire il colloquio che l'ha originata:

- O Piera, o come si 'hiama i' negozzietto ora...? Ci vorrebbe una scritta in ingrese, 'iobòno...così arrivano gli amerihani...e poi l'ingrese 'e lo 'hapiscano tutti...

- Oh, 'scorta...visto 'he si fa la roba fattammàno in Toscana (in quanto prodotta a Prato dai cinesi, NDR), sai icchéne...'e si 'hiama "roba fattammàno" in ingrese!...

- Ecco, obbràvo! 'E lo so io 'home si dice...HANDE MADE GIFTS, perché "hande" 'e vogliano dì' le mane!....

E insomma, eccola qua. In barba alla lingua nazionale che pure in questa città è nata. Certo, bisognerebbe tenere conto che, nell'inglese di qualche secolo fa, quella -e finale era la norma; ancora adesso, nelle campagne inglesi, si vedono antiche locande sormontate da un'insegna tipo Ye Olde Inn:


Dovete sapere, come assai didascalicamente mi racconta il Sussi, che quella "-e" finale di olde sarebbe un antico retaggio della declinazione debole degli aggettivi, che era la regola nelle fasi più antiche dell'inglese; così, ad esempio, ancora adesso nello stile solenne si può dire since olden times ("da tempi antichi"; quella -en è addirittura un vestigio del dativo plurale). Ma, come dire, sia io che il mio amico dubitiamo fortemente e ragionevolmente che gli autori dell'insegna hande made siano a conoscenza di queste cose, e che si tratti assai più probabilmente di uno dei comunissimi strafalcioni che si leggono un po' ovunque in questa città così internèscional.

E così, anche se in piazza per tutt'altri motivi, è bene dare un'occhiatina anche alle insegne. Anch'esse possono insegnare un sacco di cose. E raccontarle. Raccontare, per esempio, di come l'artigianato di questa città, quello autentico, quello per cui era celebre in tutto il mondo, sia stato sradicato a partire dall'alluvione del 1966 per essere alfine sostituito, nel 2009, dai negozietti di chincaglierie hande made ad usum Britannorum turistarum atque Americanorum. E quegli artigiani non avevano bisogno di nessuna insegna, né in ingrese e nemmeno in toscano. Lavoravano davanti a tutti, e bastava mettersi a vederli.

venerdì 6 novembre 2009

Mannu libero!


Sì, lo so che questo è un blog di una gatta nera che gira per la città. Ma si dà anche il caso che i due umani che usualmente la accompagnano (Sussi e Biribissi, insomma) siano due militanti antifascisti; ed in tale loro attività pure io mi riconosco in pieno -specificando che noialtri gatti siamo liberi per natura, e quindi siamo le bestie più antifasciste che esistano. Non tutti sanno che il gatto selvaggio che è uno dei simboli dell'anarcosindacalismo è in realtà mio cugino Pampalew Wobbly e che, tuttora, si rifiuta di portare il lutto per Joe Hill e, invece, organizza.

In questo mio blog riporto quindi volentieri questo appello che è stato diffuso oggi da alcune organizzazioni antifasciste e antagoniste cittadine. Lo riprendo dal sito del CPA - Centro Popolare Autogestito Firenze Sud, di cui Mannu è militante.

MANNU LIBERO
SOLIDARIETA' AGLI ANTIFASCISTI PERQUISITI

Stamani le solerti forze di polizia hanno perquisito numerose abitazioni di compagni e compagne appartenenti a centri sociali e non solo. Se questo non bastasse un compagno è stato arrestato adducendo un presunto pericolo di fuga per un viaggio in sud America che avrebbe dovuto fare, e che farà, nel mese di Febbraio.

Le accuse vanno dalla detenzione di presunti esplosivi, ai rapporti di solidarietà internazionale, alle iniziative contro la presenza dei fascisti in città, alle iniziative contro Forza Nuova a Rignano sull'Arno.

Il GIP Pezzuti ha pensato bene di tentare la carta dell'aggravante di terrorismo, utilizzando in maniera piuttosto stravagante quanto previsto dal Decreto Pisanu sulla nuova definizione di terrorismo stesso: Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”.

Non stiamo qui a leccarci le ferite ma lanciamo da subito quello che deve essere per ognuno di noi una pratica da cui nessuno può “dissociarsi”: la solidarietà

Fuori da ogni richiesta di giustizialismo pensiamo che non sia casuale che in prossimità dell'ennesimo tentativo di svolgere iniziative in città da parte di quei fascisti di Forza Nuova, si vada a colpire proprio chi in questi anni è stato protagonista nell'impedire qualsiasi tipo di agibilità politica a questi loschi figuri.

Nell'ultimo anno magistratura, questura hanno operato in maniera tale da cercare di stroncare nella nostra città ogni tentativo di protagonismo politico, attraverso gli avvisi orali e le perquisizioni agli studenti, convocazioni in questura, fino ad arrivare a quanto è successo oggi.

Un clima davanti al quale, come più volte abbiamo detto e scritto, non si può sottacere.

Particolarmente in questo momento non possiamo pensare e tollerare che qualcuno si possa sentire non coinvolto da quanto sta succedendo.

Che sappia chi di dovere, davanti a quanto venuto alla luce in questi mesi, che non tollereremo nessun atto di vessazione verso il compagno arrestato.

VENERDI 6 NOVEMBRE ORE 17.30

PRESIDIO SOTTO LA PREFETTURA DI FIRENZE IN VIA CAVOUR

SABATO 7 NOVEMBRE ORE 16.00 PIAZZA SAN MARCO

MANIFESTAZIONE PER LA LIBERAZIONE DI MANNU

IN SOLIDARIETA' AI PERQUISITI

CpaFisuD, Cantiere Sociale K100, CSA Next Emerson, Movimento di Lotta per la Casa, Individualità anarchiche fiorentine, Collettivo politico di Scienze Politiche, Assemblea delle Scuole in Lotta.

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