Stasera, qualcuno percorrerà le strade di questa città per ricordare una cosa oramai lontanissima. Sessantasei anni fa, undici agosto millenovecentoquarantaquattro. Ogni anno che passa, sempre di meno; quelli che videro e vissero quel giorno non ci sono, in gran parte, più.
Pochi passi nelle strade semideserte; chi incontrerà quello sparuto corteo, quasi spettrale, si chiederà forse di che cosa si tratti; e non sa che questa città, così come tutte le altre di questo paese perennemente sull'orlo del baratro del fascismo, dovrebbe di nuovo liberarsi. Perché il nuovo fascismo, che poi è ancora quello vecchio, sta vincendo. Ci sta avvolgendo come mosche in una ragnatela. Ci sta inglobando senza speranza.
Sembra avere parole e metodi diversi, ma è sempre la solita, terribile vecchia storia con l'aggiunta degli strumenti mediatici e tecnologici. Ha permeato talmente in profondità la nostra società che non ha più neanche bisogno di dichiarare la dittatura: la "democrazia", anzi, si è rivelata uno strumento ben più efficace per instaurare il controllo sulle nostre vite e sulle nostre coscienze. Ci hanno fatto credere di essere un paese "libero" quando invece siamo soltanto una massa di schiavi istupiditi cui periodicamente viene chiesta la farsa di un avallo col voto.
E ci prestiamo al gioco, in questa recita tragica e comica che ha tutto della Commedia dell'Arte. Ruoli fissi. Persino quello di chi si rifugia nelle equiparazioni e nelle agudezas aforismatiche per concludere invariabilmente che sono tutti fascisti tranne lui, riservandosi così il privilegio del "distacco" e il comodo rifugio in ovattate nicchie temporali. C'è una cosa, invece, che quei pochi fantasmi che percorrono a sera le strade della città sembrano volerci dire.
Ci ricordano di essere stati soli, disperati e senza alcuna speranza di riuscire a vincere un nemico insormontabile. Ciononostante andarono avanti; quel che ne hanno ricevuto in cambio è stato, costantemente, delegittimazione, fastidio, menzogne, noia blasée. A distanza di quasi settant'anni ci troviamo nella stessa situazione di allora: soli e disperati.
Ancora una liberazione, allora, ci sarebbe da fare. Senza curarsi di niente e di nessuno. Ci sarebbe da vincere la paura, l'intolleranza, la crassa stupidità che è il terreno più fertile per il fascismo (e che esso ha perfettamente coltivato), il securitarismo. Non si è ancora appreso che il fascismo crea insicurezza per poi poter invocare la repressione.
Ancora una liberazione; ma stavolta devono essere distrutti. Non ne deve essere lasciato uno libero di nuocere e di spargere di nuovo il germe, di far proliferare il cancro che ci sta uccidendo.
Pochi passi nelle strade semideserte; chi incontrerà quello sparuto corteo, quasi spettrale, si chiederà forse di che cosa si tratti; e non sa che questa città, così come tutte le altre di questo paese perennemente sull'orlo del baratro del fascismo, dovrebbe di nuovo liberarsi. Perché il nuovo fascismo, che poi è ancora quello vecchio, sta vincendo. Ci sta avvolgendo come mosche in una ragnatela. Ci sta inglobando senza speranza.
Sembra avere parole e metodi diversi, ma è sempre la solita, terribile vecchia storia con l'aggiunta degli strumenti mediatici e tecnologici. Ha permeato talmente in profondità la nostra società che non ha più neanche bisogno di dichiarare la dittatura: la "democrazia", anzi, si è rivelata uno strumento ben più efficace per instaurare il controllo sulle nostre vite e sulle nostre coscienze. Ci hanno fatto credere di essere un paese "libero" quando invece siamo soltanto una massa di schiavi istupiditi cui periodicamente viene chiesta la farsa di un avallo col voto.
E ci prestiamo al gioco, in questa recita tragica e comica che ha tutto della Commedia dell'Arte. Ruoli fissi. Persino quello di chi si rifugia nelle equiparazioni e nelle agudezas aforismatiche per concludere invariabilmente che sono tutti fascisti tranne lui, riservandosi così il privilegio del "distacco" e il comodo rifugio in ovattate nicchie temporali. C'è una cosa, invece, che quei pochi fantasmi che percorrono a sera le strade della città sembrano volerci dire.
Ci ricordano di essere stati soli, disperati e senza alcuna speranza di riuscire a vincere un nemico insormontabile. Ciononostante andarono avanti; quel che ne hanno ricevuto in cambio è stato, costantemente, delegittimazione, fastidio, menzogne, noia blasée. A distanza di quasi settant'anni ci troviamo nella stessa situazione di allora: soli e disperati.
Ancora una liberazione, allora, ci sarebbe da fare. Senza curarsi di niente e di nessuno. Ci sarebbe da vincere la paura, l'intolleranza, la crassa stupidità che è il terreno più fertile per il fascismo (e che esso ha perfettamente coltivato), il securitarismo. Non si è ancora appreso che il fascismo crea insicurezza per poi poter invocare la repressione.
Ancora una liberazione; ma stavolta devono essere distrutti. Non ne deve essere lasciato uno libero di nuocere e di spargere di nuovo il germe, di far proliferare il cancro che ci sta uccidendo.