martedì 15 dicembre 2009

I gatti e gli albanesi


La madre di uno dei miei due amici che mi aiutano nella compilazione di questo miagolante blog, è senz'altro una donna più che brava. Fa benissimo da mangiare (un po' tendente al grasso, d'accordo, ma alla sottoscritta la cosa non dispiace por nada), è affettuosissima con ogni tipo di felino e, in casa sua, la foto del suo vecchio gattone oramai passato tra i più è attaccata a una parete accanto a quella dello scomparso marito. Ha una certa età, come avrete senz'altro capito; quindi, magari, bisogna scusarla e capirla se passa la sua giornata davanti alla televisione (a guardare prevalentemente tutta la peggiore paccottiglia, fra quizzini, forum, telenovele brasiliane e persino, ohimé, La vita in diretta) oppure a ciarlare con le vicine, coetanee e più anziane di lei. Abita da quasi cinquant'anni nello stesso quartiere; quando c'è andata a stare c'erano per davvero ancora i campi (e un blocco di case popolari), e lo ha visto venire su; suo figlio minore, vale a dire proprio il mio amico, è addirittura il primo nato in assoluto dell'intera strada. Un quartiere qualsiasi, magari abbastanza noto in giro per il mondo a causa di un campo di calcio dove dicono si alleni una non meglio precisata Nazionale, abitato da gente qualsiasi e attualmente dalla popolazione decisamente in su con l'età (come, del resto, tutta questa città, che è una delle più "vecchie" del paese).

Un bel giorno sono arrivati però, anche in quel quartiere, gli immigrati. E chi ne aveva mai sentito parlare prima, per esempio, degli albanesi; al massimo qualcuno si ricordava di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per graziadiddìo Imperatore d'Etiopia e d'Albania. Più o meno dei Marziani, insomma; anzi, i Marziani uno se li immagina (verdi, con le antennine, chiazzati, con i dischi volanti) mentre gli Albanesi proprio no. Sono arrivati, si son messi chi a lavorare e chi a spacciare qualche polverina per arrotondare lo stipendio, una volta ne hanno trovati quattro a dormire in una vecchia Uno (detta "La Durruti") abbandonata proprio dal mio amico che nel frattempo era emigrato momentaneamente in Isvìzzera, hanno imparato l'italiano parlandolo in certi casi assai meglio degli italiani, si son portati dietro le famiglie, e hanno fatto altri figli. Nel blocco di case popolari, sui campanelli, si son cominciati a vedere nomi bizzarri (tipo Korçi, Vllazër, Krivokuqi o Shaxhie) al posto dei Pinzauti, dei Degl'Innocenti e dei Pierattini; e, insomma, tutto normale. Dev'essere successa più o meno la stessa cosa quando, che so io, a Nogent-sur-Marne, nei primi anni '30, i Pinzauti, i Degl'Innocenti e i Pierattini hanno sostituito i Dupont, i Durand e i Desmoulines diventando, nel giro di una generazione, Pansotì, Delinosantì e Pierattinì. Oppure a Boston, coi Pinsiutew, i Delinos e i Peterson o roba del genere. Tutt'altro che Marziani. Normalissimi lavoratori, o anche spacciatori. Con due gambe e due braccia. Coi bambini che vanno alle elementari e alle medie davanti alla Coop, mentre la mamma fa la spesa alla Lidl dove si spende di meno. Un giorno faranno gli spaghetti al sugo e quello dopo il tasqebap, quello dopo ancora il tiramisù e quell'altro il kadaif.

Ora, dovete sapere che qualche giorno fa, assieme al mio amico, mi son proprio ritrovata in casa di sua madre; e destino volse che ci fossero pure le sue vicine. Non che mi dispiacesse, dato che mi son beccata da tutte quante una congrua dose di coccole ed anche qualche avanzino che schifo non mi ha fatto; a dire il vero, poi mi sarei fatta anche una dormitina, però il bla bla che risuonava nella cucina raggiungeva picchi Decibel ai limiti del consentito dalla legge. E lo capisco, perché quelle donne, eh, le son tutte un po' sorde e c'è poco da fare; a questo si aggiunga, naturalmente, la tv a tutto volume su non so quale programma di Rete 4, dove a sua volta c'era gente che berciava. Insomma, impossibile dormire. A un certo punto, visto che comunque restavo un'attrazione del tardo pomeriggio (una Pampalea mica la si ha in casa tutti i giorni, perdiana!), si sono messe a ragionar proprio di gatti. Ed è saltata fuori una cosa sorprendente.

"Eh, certo che qui in giro di gatti non se ne vedono più, e prima ce n'erano tanti!", ha esclamato la signora C., una ligure che sta da queste parti da sessant'anni, ma che parla ancora onegliese puro.

"Davvero! O che fine avranno fatto?...", ha domandato la madre del mio amico.

"Io lo so!", ha ribattuto con un'aria tra l'indignato e il compunto la signora M., un donnone normalmente gioviale e dall'eloquio piuttosto forbito. "Se li mangiano tutti gli albanesi!"

Mi si sono, a quel punto, rizzate le orecchie; ed è stato in quel momento che il mio amico mi ha colta con la sua Kodak da Treggia's Blog, mentre sgranavo gli occhi. È la foto che potete vedere all'inizio del post. Gli albanesi che mangiano i gatti ?!?!?

Mentre ero lì, meravigliata assai e anche un po' preoccupata (e vorrei vedere voi, se vi dicessero che gli albanesi mangiano i salernitani, oppure i milanesi, oppure ancora i messicani!), quando la signora M. ha ribadito implacabile: "Me l'ha detto un'amica di mia cugina che sta qui dietro in via *****, ne ha visti due che andavano a caccia di gatti con un sacco!"

Al che si sono scatenati nella cucina quindici minuti buoni di stigmatizzazione andante, per chiamarla così; e questi albanesi che non s'accontentano di rubare e di spacciare, ma pure se magnano li gatti! Al che non ho retto, sono sgattaiolata via e me ne sono andata a fare qualche indagine in giro. Ovviamente, noialtri gatti sappiamo come muoverci, e se per caso, in un dato quartiere, non ci facciamo più vedere troppo in giro per un certo periodo, ci sono i suoi bravi motivi.

Dopo una ventina di minuti, nel giardino di fronte ho trovato una mia vecchia conoscenza, un gattone tigrato di cui non farò naturalmente l'ineffabile, effabile, effanineffabile nome*. Ci siamo messi a miagolare un po', e gli ho chiesto se era vero della storia degli albanesi; e accidenti a me. Fra poco lo facevo stramazzare dal ridere! Quando si è ripreso, è riuscito finalmente a dirmi: "Ma come, Pampa, anche a te hanno raccontato 'sta storiella?" Gli ho detto di sì, e allora mi ha fatto cenno di andargli dietro. E mi ha portata in giro per il quartiere, tra giardinetti segreti, tettoie, garages dismessi, muriccioli e quant'altro. Pieni di gatti. Sembrava il gattatoio universale. "Ehi, ragazzi!", gridava il mio amico tigrato, "vi presento la Pampalea dell'Isolotto! Ultima vittima della bischerata degli albanesi mangiagatti!"; ne è seguita una sghignazzata generale.

"Guarda che qui ci sono gli albanesi, mica i vicentini!", ha esclamato una gattina bianca, delicata e nobiliare assai; un gattaccio nero, ancora più nero di me, ha cominciato a mimare Striscia la Berisha, la vecchia macchietta di Gene Gnocchi e Tullio Solenghi, facendo al contempo, con le zampe anteriori, il gesto di affilare i coltelli.


A un certo punto, un vecchio gatto mezzo spelacchiato, uno che del quartiere deve sapere tutto ma proprio tutto, mi ha presa in disparte tutto serio e grave, come si confà senz'altro alla sua età. E ha cominciato a spiegarmi meglio la cosa.

"Vedi, Pampalea",mi ha detto, "qui una volta si girava tranquilli. C'erano sì le strade più trafficate, ma per il resto erano stradine tranquille dove si poteva zampettare relativamente sicuri di non essere stiacciàti. Ora ci hanno fatto vialoni, rotonde, ci passano tre linee di bùssi, ci sono quelli co' sùvvi, e via discorrendo. In più sui tetti non ci si pòle andare, perché non sono fitti e a noialtri gatti non ci riesce di volare, anche se qualche volta ci si prova lo stesso. E ci credo che non ci vedono più in giro! Pensa che, qualche tempo fa, in questo quartiere c'erano persino i bambini che giocavano per la strada, ma ora non si vedono più nemmeno loro; o che se li mangeranno anche loro, gli albanesi? E 'un so' più nemmeno comunisti! Ah, a proposito, l'hai presente quella gattina bianca che t'ha detto dei vicentini, prima? Devi sapere che da mangiare, e da dormire, glielo dà la famiglia Hoxha, lì di fronte, di Durazzo..."

Rassicurata assai dalla cosa, ho cerimoniosamente salutato tutti quei compagni e quelle compagne di pelo, e me ne sono tornata verso casa della madre del mio amico; s'era fatto tardi, e s'aveva da tornare all'Isolotto. L'ho trovato, il mio amico, già sul portone e ci siamo messi a ragionare. Scuoteva il capo. Scuoteva il capo e rideva un po' amaramente. Mi ha guardata, e mi ha detto:

"Ok, stasera non so che far da cena...dovrò guardare su Internet la ricetta della Pampalea con peperoni come la fanno a Argirocastro...anzi no, a Valona!"

S'è beccato una soffiata. Ma di quelle serie, giuro!

*Thomas Stearns Eliot, Old Possum's Book of Practical Cats, I.