mercoledì 18 maggio 2011

Caro "Niccolò Cannoni"


Caro "Niccolò Cannoni",

Mi scusi d'abord per il Suo spett.le nome e cognome inserito tra virgolette; il fatto gli è che, come dire, il giornale "La Repubblica" è specializzato nell'inventare personaggi (si veda il famoso caso della lettera del "sig. Poverini", quello che diceva d'essere di sinistra e razzista), e quindi un po' di dubbio è ragionevole; poi, sicuramente, Lei esisterà, abiterà in via S. Giuseppe, sarà uno studente e avrà ventiquattro anni (tutte cose senz'altro invidiabili).

Mi riferisco al reportage fotografico (o fotoracconto) sul "degrado" che Lei avrebbe avuto premura d'inviare, accompagnato da una letterina, non soltanto alla redazione fiorentina de "La Repubblica", ma addirittura anche al signor Sindaco; iniziativa senz'altro lodevole e che testimonia di un Suo innato senso civico, ancor più apprezzabile in un giovane studente di soli 24 anni. E poi dicono delle giovani generazioni! Certo, però, mi lasci dire (e sono molto, ma molto più vecchia di Lei...) che codesto senso civico potrebbe anche riservarlo a cose più meritevoli, e che la Sua iniziativa puzza un pochino, viste specialmente le ben note posizioni del "giornale progressista" a cui Lei si è rivolto. Indi per cui, se me lo consente, vorrei farLe alcune osservazioni.

Innanzitutto, nel "fotoracconto" che Lei ha inviato non si vede, come per magia, nessuna scritta sui muri dovuta ai principali imbrattatori di Firenze, vale a dire i gggggiòvini ribelli non conformi di Casaggì (qui ne ha una piccolissima silloge). Se davvero Lei va in giro a fotografare "degradi" e scritte non può non essersene accorto, dato che i signorini in questione, peraltro suoi coetanei, davvero non si risparmiano. Come per miracolo, però, e a parte qualche abbaiata di un assessore e qualche minaccia di "multa" cui non viene dato alcun seguito, nessuno ne parla mai. Nessuno scrive alla "Repubblica" per denunciare che Firenze è, da alcuni anni, letteralmente riempita e imbrattata di scritte fasciste.

Nel Suo "fotoracconto", invece, di tutto questo non c'è traccia; e la cosa mi rimane abbastanza sospetta. Certo, potrebbe benissimo darsi che Lei, caro "Niccolò Cannoni", abbia fotografato anche tutte quelle belle migliaia di croci celtiche e tutte le spianate di manifesti e manifestini con foibe, sergiramelli, Jünger, italie tricolori eccetera eccetera, che si trovano in ogni parte della città; e che, magari, sia stato proprio il gran giornale progressista, tutto impegnato in una campagna forcaiola contro le realtà sociali fiorentine più scomode e a montare "casi" a base di menzogne e di "raccolte di firme" (vedasi ad esempio Villa Panico), a fare una cernita tra le Sue cyviche fotografie. Ma anche qui, mi permetta, ho qualche ragionevole dubbio, leggendo la Sua letterina.

A Lei, caro "Niccolò Cannoni", non piacerebbe che il primo impatto della fiumana di visitatori non fosse il "degrado", quando il primo degrado di questa città è provocato proprio dal turismo di massa, indiscriminato e portasoldoni. Invece di fotografare le scritte sui muri, vada a fotografare qualche volta le pizze a taglio, i negozi di paccottiglia e i "localini" che hanno trasformato il centro storico di Firenze in una vomitevole Disneyland. Come mai questo non viene mai definito "degrado", mi chiedo?

E mi chiedo ancora parecchie cose. Nella Sua letterina parla ad esempio di scritte e graffiti di dubbia moralità associandole immediatamente agli anarchici. Lei, caro "Niccolò Cannoni", deve essere proprio un bravo giovane, di quelli che piacciono tanto alla Gelmini; il Suo tempo libero dagli impegni studenteschi lo passa a fotografare scritte immorali; tra le quali, noto bene, un posto d'onore lo hanno quelle del Circolo Anarchico di Via dei Conciatori (foto sotto il titolo) e quelle contro i CIE.


Si è mai premurato, caro "Niccolò Cannoni", prima di fare clic con la Sua fotocamerina, di informarsi che cosa ci sia dietro a quelle scritte? Conosce la storia dell'immobile di via dei Conciatori, interamente occupato da una serie di realtà associazionistiche (non soltanto gli anarchici) e sotto costante minaccia di sgombero per far posto a prestigiosi appartamenti? Ha mai sentito parlare di speculazione edilizia, che nel centro storico di Firenze ha colpito senza pietà distruggendo tutto un tessuto economico e sociale? È mai entrato nel Circolo Anarchico per vedere che cosa vi si fa? Quella scritta sopra la porta non è "degrado", è il solo modo che quelle persone hanno per informare di una situazione. Non scrivono alla "Repubblica" e a un sindaco superstar. Lo sa, caro "Niccolò Cannoni", che cos'è un CIE? La sua morale preoccupazione riguarda le scritte sui muri, e non degli autentici lager che un ministro vorrebbe impiantare anche in Toscana? E i manifesti rivolti agli stranieri affinché boicottino l'Italia? Le piacciono così tanto, questa "Italia" carogna, ipocrita e cialtrona, e questi stranieri a comitive di obesi e di ragazzotti cui di Firenze non importa niente? Mi dice, in definitiva, che cosa si crede di fare con questa Sua iniziativa, a parte contribuire alle campagne e campagnette di chi vorrebbe sí tutto lindo e pulito, di quel lindore e di quella pulizia proprio delle cose morte?

La prossima volta che scenderà per le strade munito di fotocamera digitale, magari ci pensi un attimo prima di mettersi al servizio di chi vorrebbe trasformare quel che resta di Firenze in una vetrina senz'anima e, soprattutto, senza persone che non ci stanno. Le scritte, volendo, possono essere sempre cancellate; le persone no. Le stanno cancellando, le persone, a colpi di sgomberi, di arresti, di repressione indiscriminata, di securitarismo. L'unico modo che rimane per esprimersi liberamente è quello di scriverlo su un muro. Mi piacerebbe, mi creda (e a patto che Lei esista veramente, cosa che mi auguro!), che la sua moralità e il suo civismo non si fermassero alle apparenze comode soltanto per le mani pelose che i padroni hanno sulla città, e che Lei, caro "Niccolò Cannoni", non si rendesse un loro diligente, ancorché inutile, servo.

lunedì 9 maggio 2011

Hunger Striker


Pampalea riceve per mail e volentieri pubblica:

CasaPound Italia: Nessun diritto di usare il nome
o l’immagine di Bobby Sands
Comunicato integrale firmato da Danny Morrison a nome del Bobby Sands Trust

Poche settimane fa, abbiamo ricevuto un numero di email in relazione ad un’organizzazione italiana, CasaPound Italia, la quale intendeva fare o aveva già dato il via ad un commercializzazione utilizzando il nome di Bobby Sands. Inizialmente, abbiamo deciso di fare alcuna dichiarazione pubblica in modo da non dare al gruppo un ulteriore pubblicità. Tuttavia, ora sentiamo il bisogno di far capire al popolo italiano che mai questa organizzazione ha contattato la Trust per richiedere il permesso di utilizzare il nome o l’immagine di Bobby Sands e che se si fossero messi in contatto con noi, il permesso non sarebbe stato concesso. Questo gruppo non ha alcun diritto di sfruttare l’immagine degli Hunger Strikers repubblicani irlandesi che si sono opposti all’oppressione e hanno combattuto per la libertà delle persone e ci rivolgiamo a CasaPound Italia per fermare tali abusi dei patrioti irlandesi. Mentre si avvicina il 30 ° anniversario dello sciopero della fame del 1981, incoraggiamo tutti i gruppi e le organizzazioni internazionali che rispecchiano fedelmente i principi e l’integrità degli scioperi della fame e la loro causa.

Danny Morrison, Segretario, Bobby Sands Trust

CasaPound Italia: No right to use the name or image of Bobby Sands (An Phoblacht)

Danny Morrison has issued a statement on behalf of the Bobby Sands Trust condemning an Italian group for misappropriating the name and image of Bobby Sands in a bid to garner credibility and support.

Danny Morrison said:

A few weeks ago, we received a number of emails in relation to an Italian organisation, CasaPound Italia, reporting that it planned to or had already merchandised in the name of Bobby Sands. Initially, we decided to make no public statement in order not to give the group any further publicity. However, we now feel that we need to make it clear to the Italian people that this organisation never contacted the Trust for permission to use Bobby Sands’ name or image and that had they contacted us they would not have been granted permission. This group has no right to exploit the imagery of Irish republican hunger strikers who opposed oppression and fought for the freedom of people and we call upon CasaPound Italia to stop such misuse of Irish patriots. As we approach the 30th anniversary of the 1981 Hunger Strike, we encourage all groups and organisations internationally who faithfully reflect the principles and integrity of the Hunger Strikers and their cause.

Danny Morrison, Secretary, Bobby Sands Trust

Nella foto: Achille Totaro, uno grasso di Scandicci, impegnato in un eroico sciopero della fame.
The above pic shows Achille Totaro, a fat guy from Scandicci, heroically committed in a hunger strike.

domenica 8 maggio 2011

L'attesa è terminata


Dal 1908, una famosa poesia di Konstandinos Kavafis ci ammorba la vita. Si chiama Περιμένοντας τους βαρβάρους in lingua originale, e qui la trovate in italiano nella classica traduzione di un defunto e valente ellenista, Filippo Maria Pontani, che però, nella pagina linkata, è stato messo in bicicletta e trasformato in "Pantani". Nulla di cui indignarsi; da che mondo è mondo, i ciclisti sono più popolari dei grecisti e non credo che ci sia nulla da fare al riguardo. Il nuovo, poi, caccia sempre via l'antico. Quando abitavo a Livorno assieme all'amico Sussi, mi ricordo che una via (vicino al porto) intitolata allo statista Vittorio Emanuele Orlando veniva comunemente chiamata "via Silvio Orlando", con buona pace del bravo attore che, essendo ancora vivo e vegeto, forse si sarebbe toccato un po' le parti intime se lo avesse saputo.

Dicevo però che la poesia di Kavafis ci ammorba la vita. Non è, poveraccia, colpa sua; anzi, è una poesia assolutamente splendida, uno dei capolavori in lingua neoellenica (anche se il greco di Kavafis, alessandrino, è assai particolare). Il problema sono i suoi citatori, perché è diventata una sorta di passepartout utilizzato da chiunque quando intende dire qualcosa di "intelligente"; e, allora, si va da Vittorio Sgarbi in televisione agli impiegati statali anarchici, da Gigi Marzullo all'articolista di Vanity Fair, dal blogger fustigatore al professore che fa il predicozzo in classe. In linea di massima, credo che sia seconda, quanto a citazioni, solo alla mortifera If di Rudyard Kipling, bel tomo di colonialista che intendeva pure dare le lezioni di vita.

Che cosa dice, però, questa famosa poesia kavafiana? In estrema sintesi: l'Impero sta per crollare e i barbari sono alle porte. Tutti li stanno aspettando al tempo stesso trepidanti e indolenti, in pompa magna: perché i senatori dovrebbero legiferare, quando fra poco lo faranno i barbari? E l'Imperatore perché dovrebbe darsi pena di resistere, come esigerebbe la sua altissima dignità? Anzi, ha già preparato pergamene e titoli da offrire ai barbari. E i retori, perché dovrebbero esercitare la loro arte (quella che Ambrose Bierce, nel Dizionario del Diavolo, definì "Congiura tra pensiero e azione ai danni delle facoltà intellettive, una forma di tirannide in parte temperata dalla stenografia") quando si sa benissimo che i barbari, dato che sono barbari, la sdegnano come inutile? Ma passano le ore, e i barbari giocano un tiro mancino: non arrivano affatto. Se la vedano i civili, i rappresentanti della superiore cultura, e affoghino nella loro merda; facciano senza di loro. Perché i barbari sono sempre una soluzione; servono a sentirsi più elevati quando fa comodo, servono sovente da carne da macello, e quando una civiltà si spegne si trasformano però in estremo soccorso. Per questo ho sempre rifiutato categoricamente l'espressione invasioni barbariche, anche se adesso si preferisce dire islamiche a cura di servi che, oltretutto, non hanno neppure la ieraticità (seppur vuota, esteriore) degli antichi senatori o di un Imperatore.

Ma, come si vede dalla foto in alto, scattata oggi pomeriggio in una piazza di Firenze, l'attesa sembra essere terminata. Non solo. Ai barbari, finalmente, viene riconosciuta un'estetica (L'estetica barbara, giustappunto). È un passo importante che viene finalmente sancito; e non mi si venga a dire che si tratta di un semplice centro benessere, beauty farm o come oggi si chiamano queste cose in una lingua assolutamente barbarica. Nell'insegna, "barbara" è infatti scritto con l'iniziale minuscola e si tratta quindi di un normale aggettivo qualficativo al femminile singolare; se si fosse trattato della signora o signorina titolare del negozio, le regole del nostro superiore idioma, faro di civiltà e di bellezza, avrebbero imposto l'iniziale maiuscola. Oltre il bandone chiuso per la festività domenicale, quindi, si sta elaborando un'estetica che tenga conto dei barbari, infine arrivati; e che, contrariamente a quanto scritto da Kavafis, i barbari si occuperanno eccome di fare le leggi, di stabilire nuovi princìpi, e in pratica di dare l'avvio ad una nuova civiltà. Com'è sempre accaduto, dato che nessuna civiltà è pura bensì il frutto di commistioni. È un processo ineluttabile. Si verrà a creare, ovviamente, anche una nuova estetica; i barbari apprenderanno dell'esistenza di Baumgarten, di Diderot, di Plotino e di Kant e provvederanno a shakerare il tutto con il loro pensiero; perché un pensiero, sembra incredibile ma è così, lo hanno pure loro. A volte sanno persino già meglio di noi chi fossero Diderot, Plotino e Kant, mentre la nostra civiltà immortalmente morente preferisce sapere chi siano Pato, Gilardino e Pazzini.

Ben venga, l'estetica barbara. Probabilmente, uno di questi giorni, quando vedrò il bandone alzato, andrò a dare un'occhiata là dentro. Già mi pregusto un laboratorio di pensiero, uno scriptorium instancabile, e una babele di idiomi sconosciuti e bellissimi al posto di quello di Pippa Middleton. Non accetto altre ipotesi; che non mi si prospetti l'idea di vedere signore intente a farsi imbellettare secondo canoni estetici ripresi da qualche rotocalco, oppure una titolare talmente stolta da aver dato un nome del genere ad un negozio dove si dovrebbe appiccicare patine di bellezza a volti distrutti dalla schiavitù del quotidiano sgobbo.