sabato 30 ottobre 2010

Sette anni di galera a chi si oppose alla guerra




Sono anch'io pienamente convinta che alla firma di appelli sia sempre da preferire l'azione diretta. Ma neppure me la sentirei mai di non aderire a questo particolare appello, e per una miriade di motivi. Invito quindi tutti coloro che capitino su questo blog, per una ragione o per l'altra, oppure semplicemente per caso, a dare un'occhiata a quanto segue e eventualmente a sottoscrivere l'appello in questione.

APPELLO - Giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra.

Il 5 novembre 2010 comincerà il processo di appello per i fatti avvenuti oltre dieci anni fa, il 13 maggio 1999, nei pressi del consolato statunitense di Firenze. Quel giorno migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro la guerra in Jugoslavia, che si concluse appunto sotto il consolato. Vi fu un breve concitato contatto fra le forze dell'ordine e i manifestanti, per fortuna senza conseguenze troppo gravi, se non alcuni manifestanti contusi, fra cui una ragazza che dovette essere operata ad un occhio.

Nessuno, sul momento, fu fermato o arrestato, ma in seguito vi furono identificazioni e denunce. Si è arrivati così alle condanne di primo grado, molto pesanti per i 13 imputati: ben sette anni, per le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nel dibattimento si sono confrontate le tesi - molto divergenti – delle forze dell'ordine e dei manifestanti.

Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti.

Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l'ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto - in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l'esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d'appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi "esemplari" a chicchessia.

Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un passaggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.


*** Primi firmatari: Alessandro Santoro, Comunità delle Piagge | Andrea Calò, consigliere provinciale | Andrea Satta, musicista, Tete de bois | Angela Staude Terzani, scrittrice | Beatrice Montini, Giornalisti contro il razzismo | Carlo Bartoli, giornalista | Catia di Sabato, rappresentante studenti universitari | Chiara Brilli, giornalista | Christian De Vito, ricercatore | Corrado Mauceri, Comitato per la difesa della Costituzione | Cristiano Lucchi, giornalista | Domenico Guarino, giornalista | Emiliano Gucci, scrittore | Enrico Fink, musicista | Enzo Mazzi, Comunità dell'Isolotto | Filippo Zolesi, Sinistra unita e plurale | Folco Terzani, scrittore | Francesca Chiavacci, consigliera comunale | Francesco di Giacomo, musicista Banco del Mutuo Soccorso | Francesco Pardi, senatore | Giuliano Giuliani e Haidi Gaggio Giuliani, genitori di Carlo Giuliani | John Gilbert, Statunitensi contro la guerra | Lisa Clark, Beati i costruttori di pace | Lorenzo Guadagnucci, Comitato verità e giustizia su Genova | Luigi Ciotti, prete | Mauro Banchini, giornalista | Mauro Socini, presidenza Anpi Firenze | Marcello Buiatti, biologo | Marco Vichi, scrittore | Maria Grazia Campus, Comitato bioetica Regione Toscana | Maurizio De Zordo, Lista di cittadinanza perUnaltracittà | Miriam Giovanzana, Terre di mezzo | Moreno Biagioni Rete Antirazzista fiorentina | Ornella De Zordo, consigliera comunale | Paolo Ciampi, giornalista e scrittore | Paolo Solimeno, Giuristi democratici | Petra Magoni, musicista | Pietro Garlatti, rappresentante studenti universitari | Raffaele Palumbo, giornalista | Riccardo Torregiani Comitato fermiamo la guerra Firenze | Sandra Carpilapi, Sinistra unita e plurale | Sandro Targetti, Comitato No Tav | Sandro Veronesi, scrittore | Sara Vegni, Comitato 3 e 32 | Sergio Staino, vignettista | Simona Baldanzi, scrittrice | Ulderico Pesce, attore e regista | Vincenzo Striano, referente associazionismo.


Altri comunicati di solidarietà con gli imputati sono visibili sul sito del CPA - Centro Popolare Autogestito Firenze Sud.

mercoledì 27 ottobre 2010

Policidio


Negli ultimi giorni, questa città è stata scossa da una questione altamente drammatica e combattuta a colpi di Facebook e di servizi telegiornalistici. Ne è nata una querelle (non di Brest, con buonapace del defunto Faßbinder...) che potrebbe definirsi davvero come segno dei tempi; e sono, invero, tempi che riescono al tempo stesso ad essere tragici e comici. Ah, già, dimenticavo: per tutto questo esiste l'aggettivo tragicomico. Pardon.

Riassumo in breve la questione. Il sindaco, o primo cittadino (un giovanotto dalla faccia da mangiatore di Kinder Pinguì, esperto in bellezze e rottamazioni) ha, dalla sua pagina Facebook, attaccato con alcune considerazioni un noto giornalista televisivo, il quale svolge attualmente la mansione di direttore di una cosa chiamata "TG1". Servendosi della sua posizione, il vindice giornalista in questione ha fatto mandare in onda un reportage su questa città, nella quale essa è dipinta a tinte decisamente fosche. Naturalmente, e sottolineo naturalmente, l'argomento principe è il famoso degrado; e poiché prima parlavo di questi tragicomici tempi, debbo altresì dire che l'ossessione (del tutto artificiale, preconfezionata, inculcata) del degrado è uno dei suoi aspetti simultaneamente più tragicomici e pericolosi.

La querelle si è allargata: non soltanto si è avuta la piccata risposta del Sindaco (che ha, senza mezzi termini, accusato il giornalista degradatore di aver degradato la sua professione -opinione peraltro largamente condivisibile), ma la stampa cittadina ed alcuni suoi esponenti politici hanno avuto da dir la loro, ed in termini generalmente non lusinghieri verso il giornalista. Persino un consigliere comunale dell'opposizione si è inalberato, spedendo all'edizione online di un grosso quotidiano un'accorata lettera. Insomma, la si potrebbe chiamare una vera e propria Degradèide: la città degradata, il giornalismo degradato, tonnellate di degrado, overdosi di degrado, accoramenti di degrado, deliri di degrado.

Il problema è che, oramai, 'sto degrado nessuno più sa in che cosa esattamente consista; sta diventando, in pratica, una parola desemantizzata. Il suo uso è divenuto talmente vuoto, irreale e specioso (destino comune alla maggior parte delle parole imposte dal mix di politicantume, gazzettieraggio e culturicchiame à la Zephyrelli) da renderla tanto più vuota di senso, quanto più essa è usata in quantità abnorme. Oramai anche il bambino che si accorge di uno sbaffo di cacca lasciato dal suo compagno nel bagno della scuola, corre immediatamente a urlare: Signor direttore! I bagni del primo piano sono in preda al degrado! Come è successo alla parola cazzo, prima o poi la desemantizzazione si compierà del tutto trasformandola in un pronome interrogativo: cazzo vuoi? non so che cazzo fare. Di quest'andazzo si dirà, un giorno: degrado vuoi? non ho saputo che degrado fare.

Il pericolo estremo della desemantizzazione è la perdita di vista di quel che sia il vero degrado operato congiuntamente da tutti coloro che, ora, si sfidano a plural tenzone dalle loro pagine Facebook, dai loro giornali e telegiornali, dai loro scranni consiliari, dalle loro tanto beneamate istituzioni. E questo non è un degrado desemantizzato. Tutt'altro. Sarebbe anzi, il degrado più facilmente visibile se i cervelli e le coscieenze non fossero oramai poco appetibili optionals, e se la capacità di osservazione critica non fosse da un lato atrofizzata, e dall'altro conculcata e repressa negli scarsi casi in cui ancora viene esplicata con responsabilità.

Per degrado viene attualmente fatta passare tutta una serie di cose contraddistinte però da un minimo comun denominatore: la più vuota esteriorità asservita agli interessi e alle manovre del Padrone. Farò un esempio classico. In questa città è stata montata, da anni oramai, una campagna mediatica e politica sul degrado di un quartiere centrale, San Lorenzo. A sentirli, coi loro giornali, i loro rappresentanti e i loro misteriosi comitati, magari con il decisivo concorso del solito parroco strombazzato (e strombazzante, anche se -almeno si spera-, non nel senso del suo collega don Cantini), tale quartiere centrale dovrebbe essere oramai una specie di inferno in terra: tutta colpa, ovviamente, di kebabbari, abusivi, minimarket pakistani, "microdelinquenza" eccetera. L'intento è chiarissimo: una volta "liberato" il quartiere, uno dei pochi rimasti vivi nel centro storico, via libera alla creazione del salottino. In questa città tutto dovrebbe essere un salottino ad uso dei turisti e dei bottegai pataccari per i quali, a suo tempo, non è stata fatta tanta cagnara quando hanno fatto progressivamente sloggiare tutte le attività artigianali che costituivano la vera ricchezza di questa città. Bottegai pataccari, strade "ripulite" dagli intrusi, razzismo neanche più tanto strisciante, interessi altolocati, riduzione della città a una Disneyland quasi più finta di quella originale. Speculazioni immobiliari, banche e banchette, assicurazioni, affitti improponibili, espulsione degli abitanti; i quali, poveri loro, non di rado si prestano ad una manovra che ricadrà principalmente sulle loro teste. Tutto questo è lo scopo ultimo dei "crociati del degrado". Una cosa, del resto, già ampiamente vista in questa città.


La foto che vedete, risalente a circa il 1885, ritrae l'antico Mercato Vecchio; e dovrei far presente a questo punto che il quartiere di San Lorenzo ospita ancora oggi sia il Mercato Centrale, sia quello delle bancarelle. E gli abusivi, i venditori, i microcriminali e tutto il resto. Esattamente come il Mercato Vecchio, che tra il 1885 e il 1895 fu fatto demolire assieme a tutto il suo quartiere, che era allora il ghetto ebraico. Scomparve quello che era, probabilmente, il nucleo primevo di questa città: i suoi vicoli, le sue piazzette, le sue case, le sue torri, le sue mille botteghe, il suo mercato. Allora come ora, cominciarono coi loro giornali (e La Nazione esisteva già...), le loro campagne, i loro politici; il centro degradato (parole testuali di quell'epoca) doveva essere "ripulito". Alla campagna seguirono gli espropri e le espulsioni; poi seguirono i picconi. Ai picconi, poi, seguì la costruzione del "salotto":


Eccolo qua, in una foto del 1938; e sarebbe bene per tutti andare a fare un giretto sul meraviglioso sito dell'Archivio Storico cittadino, dal quale provengono le foto sopra. Documenti e immagini che raccontano storie e Storia, e che mettono in risalto ciò che è cambiato e ciò che, di solito disperatamente, è rimasto identico. Identica, ad esempio, è rimasta l'esigenza prevaricatrice e distruttrice della classe borghese. Allora sventrava e costruiva orrori come quello sopra, dedicandoli ai suoi re e poi alla Repubblica una volta mutato il vento; oggi non sventra più, ma salottizza. Per il resto, le tattiche e gli scopi sono i medesimi: avere nei centri storici delle classi popolari non è ammesso. Ancor di più oggi, in cui tali classi sono costituite in gran parte da immigrati. Tirano in ballo la tradizione cittadina, battono i loro tamburi, mettono all'opera il loro immondo circuito politico-mediatico trasversale, e distruggono. Spostano. Le classi popolari ghettizzate nelle periferie più lontane, e il centro in balia di banche, turisti, localini più o meno trendy, cazzottatoi per pallonieri, vippame & stilistame, e tutto il resto. Il bello gli è che, poi, fanno pure i piagnistei quando chiude un negozio storico; proprio loro, che da duecento anni a questa parte hanno letteralmente annientato quella che veramente era la storia sociale di questa e di tutte le altre città. Coi loro servi e con la loro polizia.

Il degrado, quello vero, sono loro. Coi loro decori di cartapesta, con le loro lamentele, con le loro paure e terrori. Piazze svuotate. Militarizzazioni. Telecamere. Le chiamano, pensate un po', "telecamere amiche". Sarebbe bene ricordarsi, una volta per tutta, che queste telecamere spiano tutto, e coi terminali in Questura o al comando della Polizia Municipale. E chi ti spia non ti è mai "amico". Chi ti spia ti controlla, in ogni tuo movimento. Chi ti spia è pronto a saltarti addosso e a portarti via. E ne installano sempre di nuove, sempre di nuove. Puoi uscire di casa per i fatti tuoi, e loro sanno tutto ciò che fai. Dicono che è per la sicurezza e per la prevenzione, ma tutto ciò ha sempre un solo nome: si chiama repressione.

E, allora, sta pure bene che si scannino un po' fra loro, col loro Sindaco del bello da una parte e coi loro pennaioli dall'altra. Coi loro consiglieri, con il servo televisionaro, con i loro degradi incrociati e con tutto il resto. Il loro fine è però lo stesso. Lo si potrebbe chiamare policidio. Nel senso proprio del termine. La città come espressione di attività e di scontro sociale, la città come πόλις, la città come lavoro, la città come contraddizione, e in breve la città come vera città, fa loro paura. La devono involgarire e musealizzare. La devono abbellire con gli strass dei loro decori e delle loro pulizie, ma una città vera è sempre sporca e puzza. La devono imbalsamare e annichilire, e questo dovrebbe essere impedito a tutti i costi. Si scannino quindi pure, e s'indignino, scrivano le letterine, postino commenti sulle loro paginette dell'Autoschedatura Planetaria. Ancora c'è chi lotta e chi non cede, e non cederà mai, e si riprenderà la Città.

Nell'illustrazione in testa, un celeberrimo degrado: quello del capitano Dreyfus (5 gennaio 1895). La sua storia, credo, dovrebbe essere nota.

domenica 24 ottobre 2010

Trasloco quasi completato?


(cliccare sull'immagine identitaria e non conforme per ingrandire)

giovedì 14 ottobre 2010

Salviamo il trentaquattresimo!


Tutto a buon fine, in Cile, con il salvataggio dei mineros rimasti intrappolati a San José? Sembrerebbe, fortunatamente, di sì. Vi è però una vicenda che è rimasta taciuta dai media di tutto il mondo, e in un modo che ritengo assolutamente inspiegabile. Pare infatti che i minatori rimasti intrappolati a 600 metri di profondità non fossero trentatré, bensì trentaquattro.

Il trentaquattresimo, il cui nome è stato praticamente cancellato dall'elenco ufficiale, è un instancabile lavoratore chiamato Aquilles Tótaros; instancabile sì, ma nel divorare le poche provviste che i suoi sfortunati compagni erano riusciti a racimolare nel tenebroso rifugio sotterraneo dove sono rimasti per 69 giorni. Avessero dato il via a Aquilles Tótaros, le provviste non sarebbero bastate nemmeno per 69 secondi. Ma vediamo di capirne di più su questa misteriosa vicenda.

Aquilles Tótaros, esponente del Pueblo de la Libertad e di Acción Jóvenes, proviene dalla città di Escandichos, nel nord del Cile, ed era noto fino ad ora più che altro per un curioso episodio di cui fu protagonista. Rimasto troppo a lungo studente universitario senza conseguire la laurea presso la prestigiosa università di Copiapó, suo padre, stanco dell'andazzo, un bel giorno gli fece trovare in camera una bellissima e nuovissima tuta da minatore, con tanto di casco con la lampadina e gli disse in dialetto cileno settentrionale:

"Y ahora, madre de Dios, basta con este retardo...! Estoy cansado de pagarte los impuestos universitarios...! Ahora si quieres continuar, tienes que trabajar, pelandrón! A la mina, si no te ce espedisco a calcios en el culón...! "

Detto fatto; e a Aquilles toccò scendere per guadagnarsi il pane, generalmente dileggiato dai suoi compagni che lo chiamavano "El gordo de Escandichos".

Una volta accaduta la disgrazia dalla quale i minatori sono stati felicemente salvati, al caposquadra (l'oramai celebre Luis Urzúa) è stata dagli altri rivolta la domanda: "Y de éste, que ne hacemos?..." L'intenzione palese era quello di lasciarlo là sotto; ma Urzúa si è opposto fortemente con parole che meritano di essere riportate:

"Que no! Tenemos que hacerlo sortir de aqui anco a él, si no si se apoya a la pared de la mina hace crollar también las otras minas en el rayo de trecientos quilómetros!"

Naturalmente, nutrendo qualche ragionevole sospetto, Luis Urzúa ha saggiamente deciso di farlo salire per ultimo, prevedendo quel che poi è davvero successo e che le tv di tutto il mondo stanno pietosamente e imbarazzatamente nascondendo: Aquilles Tótaros è rimasto incastrato dentro la capsula Fénix. Immaginate un po' se lo avessero fatto salire prima degli altri: quelli che venivano dopo, sarebbero rimasti là sotto senza possibilità di uscita.

Nella foto: Aquilles Tótaros incastrato ancora dentro la capsula. Si noti l'espressione del tecnico a sinistra, Francisco Torsellos, che preferisce voltarsi dall'altra parte; quello a destra, Denis Verdiños, sembra voler fare qualcosa ma in realtà sta prendendo le misure della capsula per rivenderla al miglior offerente con Tótaros ancora dentro.

lunedì 11 ottobre 2010

Il prefetto, il terrorista Lucio, i fascistelli e le salme


Il signore che vedete in questa immagine è uno dei numerosi, in Italia, che non hanno assolutamente un cazzo da fare da mattina a sera. Di mestiere farebbe il prefetto; si chiama Paolo Padoin (sembra che si pronunci padoìn e non paduàn), prima "lavorava" a Torino e ora, invece, lo hanno mandato in questa città a prefettare a dritta e a manca. Evidentemente, nel suo cospicuo tempo libero (immaginiamo altrettanto cospicuo del suo stipendio pagatogli dalla collettività, in quanto servitore dello Stato), dev'essersi accorto anche lui che alla gente, generalmente, dei prefetti non importa una sega; tant'è vero che si è sentito persino di scrivere un best-seller intitolato, ebbene sì: Il prefetto, questo sconosciuto. Talmente sconosciuto che non lo conosce nemmeno il prefetto stesso. E s'ha a andà benino!

Non contento, per ingannare il tempo (e deve averne talmente tanto da metter su una bella serie d'imbrogli...), il prefetto Padoin gestisce anche un fondamentale sito internet, Rinnovare le istituzioni; ed è bene andare a dargli un'occhiatina per rendersi conto un po' meglio con chi si ha a che fare. Più che di "rinnovare le istituzioni", sembra infatti di essere davanti al consueto, solito, usuale Ammazzasette in salsa statale. A parte la "legalità" e la "sicurezza", cosa che non fa oramai distinguere un prefetto dall'ultimo pizzicagnolo che ciancia sugli articoli della "Nazione", i link sono tutta una serie di care, vecchie istituzioni repressive e pugni di ferro, conditi con gli immancabili terroristi, coi parenti delle vittime (quelli delle vittime "buone", perché delle tante vittime dei questurini -anche recenti- invece non se ne parla), e con considerazioni varie & tarzanesche sulle proprie imprese: ovviamente sgomberi di centri sociali, squatters in galera eccetera, eccetera. Insomma, il prefetto questo sconosciuto sembra quasi un clone di un Prosperini qualsiasi. Ve lo ricordate lo sradicatore di centri sociali poi finito in gattabuia?

Insomma, altro che "rinnovare le istituzioni". Il prefetto sconosciuto è invece il solito fascista tutto "law & order", tutto repressione, tutto sgomberi, tutto espulsioni, tutto "soddisfazione per le operazioni". E, naturalmente, poiché a questa città non vogliono molto bene "lassù dove si puote", da Torino ce lo hanno mandato come regalino. Il che la dice lunga, e persino lunghissima, sul vero scopo di chi blatera di "legalità" e "sicurezza". Queste due parole, attualmente, significano una sola cosa: Repressione totale di ogni forma di dissenso. Il prefetto Padoin incarna perfettamente tutto ciò, nella sua pur palese nullità: a tale riguardo, il suo sito riserva una "chicca" davvero imperdibile. Articoli e articoloni sul "caso Battisti" (immaginando ovviamente su quali posizioni...), un'autentica ossessione patologica per il "terrorismo", e poi per lui il "terrorista" è Lucio Battisti. Non ci credete? Andate pure a vedere qui. Come dire: prima o poi questi personaggi finiscono sempre per annegare nel ridicolo. Ci è annegato Prosperini e ci annegherà anche lui.


A proposito di ridicolo. La piazza che vedete qua sopra è Piazza S. Marco. Una piazza di questa città. Da cinquant'anni e rotti non c'è manifestazione studentesca che non inizi da Piazza S.Marco. È una piazza che ha fatto la storia di generazioni di studenti, e che continua a farla anche in questo particolare momento dove la scuola pubblica è in via di smantellamento a cura di un ministro di un governo che, peraltro, sta smantellando non solo la scuola ma anche quel che resta (poco) della civiltà e della libertà di questo paese. Lo stesso paese che permette a un Padoin Paolo di fare il prefetto, peraltro.

Il quale Padoin, prendendo spunto dalla manifestazione dell'8 ottobre contro lo smantellamento della scuola pubblica (una manifestazione tranquillissima sporcata solo da quattro o cinque fascistelli senza più casa che, non avendo né credito e né seguito alcuno in questa città, sono tornati a esercitare la cara, vecchia provocazione appoggiata dai questurini e dalle istituzioni), se n'è venuto fuori con la minaccia di vietare ogni manifestazione in Piazza San Marco e nelle vie adiacenti. Quasi fosse un'azione concertata tra il sor Prefetto e i fascistelli, ché tanto son della stessa identica pasta. I fascistelli ggggiòvini fanno la provocazioncella (peraltro manco toccati), emettono il comunicato, fanno l'interrogazione e il Prefetto raccoglie la palla al volo. Ma forse ancora non si è reso conto di quale pasta sia fatta questa città. È una città, questa, dove ancora, persino nelle istituzioni, c'è qualche persona che ragiona e che intima l'altolà. Mi pregio di dirne il nome, perché merita rispetto: si chiama Ornella De Zordo, è una docente universitaria e consigliera comunale, e ha rivolto al prefetto Padoin delle parole chiarissime durante l'ultima seduta del consiglio comunale. Parole che riproduco integralmente:

De Zordo (perUnaltracittà): “Manifestazioni studentesche, tutelare l'agibilità delle strade cittadine”
“Luogo delle relazioni di una comunità, che vive e si esprime, e non solo che compra e vende”

"L’ossessione securitaria sta passando il limite. Se è comprensibile da parte di chi vagheggia ancora un ordine fatto di stivali e manganello, meno lo è per altri. Non è in nessun modo accettabile che sia negata a priori l’agibilità di piazza San Marco, in cui da 50 anni si svolgono le manifestazioni degli studenti e non solo. Si vieterà poi via Cavour, o via Lamarmora? Si confinerà ogni manifestazione in viale XI Agosto, così non disturba? Alla fine si vieteranno definitivamente? La tradizione democratica e la libertà di espressione e di manifestazione non può essere messa in discussione, né da un questore né da un assessore. Lo spazio pubblico della città è, e resta, appunto pubblico, le piazze del centro sono state, e sono, il luogo in cui i cittadini si trovano, si raccolgono, discutono festeggiano o protestano. Evidentemente qualcuno è talmente abituato a considerare la città come un gigantesco outlet, che ha perso di vista ciò che invece è davvero: luogo delle relazioni di una comunità, che vive e si esprime, e non solo compra e vende. Stesse considerazioni per le reazioni scomposte dopo la manifestazione di venerdì: si invoca il pugno di ferro e la massima severità, per cosa? Per un fumogeno? Non c’è stato alcun problema di ordine pubblico, nonostante l’apparire di un paio di provocatori neofascisti, e allora di cosa stiamo parlando? Se c’è stato “disturbo” chiedetene conto al ministro Gelmini, che ha come unica missione quella di distruggere la scuola pubblica; noi ringraziamo chi si oppone, nelle scuole, nelle università, e anche in piazza".

Semplicemente applausi. L'intervento della De Zordo mette concisamente in luce tutta la questione. Città non più come luogo di espressione e partecipazione, ma solo come punto-vendita (e, a tale riguardo, anche l'ossessione sul degrado di San Lorenzo si iscrive esattamente in quest'ottica). "Pugni di ferro" e "manganelli" che nascondono, in nome della "sicurezza", soltanto la voglia di mettere il bavaglio a qualsiasi forma di protesta e di dissenso. La manovalanza, rappresentata da pochi fascistelli senza nessuna credibilità e senza nessun seguito, e i "piani nobili" dove si pianificano le "operazioni". E lo chiamano rinnovare le istituzioni. Il prefetto Padoin Paolo incarna perfettamente i prefetti del 1921, che davano via libera alle squadracce; e si vide poco dopo come furono rinnovate le istituzioni. Per questo è giustificato, anche dal punto di vista storico, definirlo un fascista, quale che sia la crocetta che appone sulla scheda elettorale. Minacciare di vietare una piazza cittadina alle manifestazioni di protesta è un atto fascista e repressivo di una gravità inaudita. Minacciare di farlo servendosi dei piagnistei di un pugno di provocatori verso i quali la città è assolutamente indifferente, è ancora più grave.

Tanto più che, in Piazza San Marco e in qualsiasi altra piazza, anche se vietata, gli studenti e chiunque intenda protestare rimetterebbero immediatamente piede fregandosene altamente del sor prefetto manganellante. Il che creerebbe, ovviamente e stavolta sì, dei problemi di ordine pubblico. Dev'essere talmente sconosciuto al Padoin, il mestiere di Prefetto, che non lo sa neppure fare nonostante i libriccini che scrive e nonostante il suo sitacchione. A meno che, com'è altamente probabile, il suo vero mestiere non sia affatto quello di "rappresentante dello Stato in una città", bensì quello di creare situazioni che giustifichino azioni e operazioni repressive. Insomma, nient'altro che un volgare provocatore al pari dei cinque o sei ragazzotti che fanno finta di essere "pestati" per poi andare a lagnarsi dagli amichetti in via Zara o in via Giacomini. Un provocatore, però, che ha un certo grado di potere; è quindi necessario opporglisi con ogni mezzo. Deve vedere fin da subito che qui non c'è trippa pe' gatti. E che lo veda con l'opposizione di una consigliera comunale, ed anche di un cittadino qualsiasi come il sottoscritto, il quale non si perita affatto di dirgliele sul muso. Esponendosi, nonostante in questo blog faccia finta di essere una "gatta nera". Tanto risalire a chi sono è una cosa elementare; ci riuscirebbe anche un bambino, e persino un prefetto.

La cosa sarebbe finita qui, però mi corre l'obbligo di spendere due parole anche su uno dei fascistelli della manovalanza.


Eccolo qui. Si chiama Matteo Calì, ha un blog dove vieni accolto da Franco Califano, da Italie protagoniste, dalla Serie A dilettanti, dal Fantacalcio dichiarato "quasi un secondo lavoro" (ci si potrebbe ragionevolmente domandare quale sia il primo...), da un certo "ispettore Coliandro" e da altre amenità del genere. Sembra che il Calì in questione sia pure consigliere nel Quartiere 3, luogo dove da anni si fa sbeffeggiare ogni qual volta se ne presenta l'occasione. E poiché si definisce l' "altra faccia della Politica", occorrerebbe anche dire che 'sta Politica dovrebbe seriamente cominciare a guardarsi da simili "altre facce".

Orbene, proprio sul suo blog, questo italiano fantacalciatore, califanato e coliandrato ci propone un autentico concentrato di insipienza, bile, banalità, ipocrisia e nullità. Ma è anche una cosa che la dice sufficientemente lunga su di lui, su quelli come lui, sui loro "centri di aggregazione" che oramai non si sa nemmeno più dove siano e se ci siano, sulle loro "Case" più o meno "-ggì", sulla loro vecchiezza, sul loro eterno puzzo di cadavere. Il tono dell'articolo riportato è indicativo. "Non ci sono più i fascisti", dice; ma, gratta gratta, riaffiorano cose interessanti e antiche. Le "zecche" e la "gente sporca che non si lava". Righe di insulti che fanno trasparire perfettamente quale sia la materia da cui è formata questa gente qui. Gente sporca che non si lava? Bisognerebbe sentire che odorino provenga allora dai Calì e dai suoi (scarsi) compari, una volta tolta la giacchina blé e la camicina bianca. Si sentirebbe odore di decomposizione avanzata. Non abbiano quindi la benché mimima paura: anche volendo, a delle salme imputridite non si potrebbe fare alcunché di male.

La Cittadella


BASTA COL PALLONE!!!
ARIDATECE ALBERTO LUPO !!!!!!

(E se lo dice una gatta...)